BREXIT: nuovi scenari europei

Di Marilisa De Nigris -

A fronte dell’ormai acclarato risultato del referendum, tenutosi in Gran Bretagna nel mese di giugno 2016, con i già visibili e più volte ribaditi ed analizzati sconvolgimenti economici, l’interesse della Nazione è destinato a spostarsi sicuramente sui risvolti del risultato cui è giunto rispetto all’UE ed a tutto il Continente.

Come ha recentemente scritto l’Economist, la Brexit “sta portando la Gran Bretagna all’anarchia” e sta mettendo a rischio l’integrità dell’UE.

“L’anarchia britannica” è evidente, basti pensare alle dimissioni di tutti i politici e comunque di tutti i fautori del referendum più vicini al c.d. “Leave”.

Solo pochi giorni fa l’ormai Primo Ministro Cameron ha ufficializzato le sue dimissioni ed è stato sostituito dalla Sig.ra May, la quale, sin dal suo insediamento, ha sottolineato che se da un lato l’esito del referendum si deve accettare e rispettare, dall’altro si devono porre le basi per mettere in campo le migliori condizioni affinchè il Paese si affranchi dall’UE, senza però incorrere sin da subito in malumori ed avversità di parte della classe politica inglese.

A fronte di ciò, non possiamo non evidenziare le divisioni e le discrasie che si stanno maggiormente evidenziando negli altri Paesi europei.

Una prima prospettiva è quella perseguita dai Paesi dell’Est e del Nord Europa che vogliono rimanere nel mercato comune a condizione che il suo funzionamento non metta in dubbio la loro sovranità nazionale.

L’idea è quella di rafforzare e di radicalizzare un’UE che funga più che altro da Comunità Economica con limitate regolamentazioni sovranazionali.

Tali Paesi, infatti, per crescere hanno bisogno del mercato europeo e dei finanziamenti dell’UE; inoltre, ricevono dall’UE e dalla NATO quella sicurezza economico-militare a cui oggi non possono certamente rinunciare.

Alcuni dei Paesi della “middle europe” portano innanzi azioni tese a ribadire la loro sovranità ed il rifiuto delle regole provenienti dagli organismi comunitari; in tale ambito l’Ungheria sta per organizzare in autunno un referendum sugli immigrati, la Repubblica Ceca e la Slovacchia si propongono di seguire la stessa scia e la Polonia prepara azioni di ritorsione contro il Parlamento europeo e la Commissione che criticano le sue scelte illiberali, se non autoritarie; l’Austria ha rivendicato l’autonomia di decidere sulla chiusura delle proprie frontiere.

Infine, non possiamo non evidenziare che malcontenti e mal sopportazione della politica comunitaria in genere si avvertono anche nei c.d. Paesi fondatori.

In Francia, come già dimostrato nelle recenti elezioni, inarrestabile è l’ascesa della Sig.ra Le Penn e del suo Front National notoriamente anti UE; la Germania vede la Cancelliera Merkel e la sua politica di integrazione in netta difficoltà a vantaggio di partiti nazionalisti e non certamente vicini al progetto dell’UE.

La situazione italiana appare poco chiara attualmente, sotto questo punto di vista, anche se i partiti meno vicini ad un’idea comunitaria sembrano in netto calo rispetto ai tradizionali partiti filoeuropeisti; il tutto senza dimenticare l’imminente, e per molti fondamentale, referendum costituzionale che si terrà nel prossimo autunno.

A fronte di questa breve e sommaria analisi, essenziale dovrebbe essere, se si vuole continuare a pensare ad un Europa unita, la necessità di rielaborare e di rinnovare profondamente la struttura e soprattutto l’organizzazione politico-economica dell’Europa e delle sue istituzioni, in quanto in caso contrario la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, non può che essere intesa come un primo passo di una lenta, ma inesorabile disgregazione dell’UE e del ritorno agli Stati nazionali con le conseguenti problematiche che ciò inevitabilmente comporterà.

Ad oggi, non dobbiamo dimenticare che non è più possibile confrontarsi con realtà ben consolidate sia economicamente sia politicamente, come gli Stati Uniti o anche con realtà nuove ed emergenti come i c.d. Paesi del BRICS. Il confronto è impari tra piccoli Stati nazionali e Paesi in cui sono presenti mercati e potenzialità politico-militari di dimensioni di gran lunga maggiori e non paragonabili a quelli dei singoli Stati europei.

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