Cassazione SS.UU. 31 gennaio 2022, n. 3513: il rimedio contro la confisca fondata sulla pericolosità generica è la revocazione ex art. 28, comma 2, del c.d. Codice Antimafia
Di Rossella Francesca Miceli -
A seguito della sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. Codice Antimafia) in relazione all’art. 1, comma 1, lett. a) (c.d. pericolosità generica), è sorta tale incognita: il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, a seguito della menzionata sentenza costituzionale, è l’incidente di esecuzione o la revocazione prevista dall’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159?
La Corte di Appello di Brescia, con decreto del 18 novembre 2019, dichiarava inammissibile l’istanza ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (da questo momento e per il proseguo della trattazione indicato come art. 28) presentata da un preposto e finalizzata ad ottenere la revocazione della confisca di beni immobili, mobili e conti correnti adottata con provvedimento del Tribunale di Monza, divenuto irrevocabile nel 2014.
La Corte di Appello di Brescia motivava la deliberazione di inammissibilità sull’assunto che la revocazione possa essere richiesta solo per i casi tassativamente previsti dall’art. 28.
Avverso il decreto di archiviazione, il difensore di parte presentava ricorso alla Corte di Cassazione, presentando, quale elemento di novità, la sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, e asserendo la revoca ex art. 28, quale unico rimedio esperibile in coerenza con la pronuncia di illegittimità costituzionale.
Investita della cognizione del ricorso, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione lo rimetteva alle Sezioni Unite e formulava il seguente quesito:
“Se, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca, fondato sulla pericolosità generica ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sia a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2019- che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 16 del citato d. lgs in relazione all’art. 1, comma 1, lett. a), del medesimo decreto- la revocazione ex art. 28 del d.lgs. n. 159 del 2011 ovvero l’incidente di esecuzione.
Se la Corte di Cassazione, investita del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) e lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sia tenuta in ogni caso all’annullamento integrale del decreto per richiedere nuova verifica dei criteri adottati”.
Prima di ricostruire i contrapposti orientamenti giurisprudenziali da cui origina la formulazione dell’anzidetto quesito alle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione riteneva necessario fare due premesse: in primo luogo, la giurisprudenza di legittimità, da tempo, conviene che il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 si possa applicare esclusivamente ai casi in cui la proposta applicativa della misura di prevenzione patrimoniale sia stata formulata prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del decreto in questione); in secondo luogo, è pregiudiziale definire se, una volta rintracciato il metodo processuale per far valere la declaratoria di illegittimità costituzionale, questo si possa applicare anche alle confische di prevenzione divenute definitive.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario riteneva che lo strumento idoneo da esperire a seguito del provvedimento definitivo di confisca fosse la revocazione prevista dall’art. 28. Tale indirizzo individuava, nel comma 2 dell’art. 28, una clausola di apertura rispetto alle ipotesi tassativamente indicate nel comma 1, atteso l’inciso: “In ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura”; inoltre, con riferimento alla competenza, questa spetterebbe alla Corte di Appello e non al Giudice dell’esecuzione.
Quanto all’obiezione mossa dai sostenitori dell’indirizzo minoritario, circa l’applicabilità del termine di decadenza di cui al comma 3 dell’art. 28 (entro sei mesi dalla decisione definitiva sulla confisca di prevenzione), si riteneva che non fosse possibile estenderlo ai casi di cui al comma 2, atteso che il termine di cui al comma 3 si riferisse in modo specifico alle ipotesi previste al comma 1.
L’orientamento minoritario, al contrario, sosteneva che il rimedio da esperire per lamentare la mancanza originaria dei presupposti per effetto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 fosse l’incidente di esecuzione.
Le osservazioni a sostegno di tale tesi erano le seguenti:
1) la decisione della Corte costituzionale non sarebbe assimilabile alle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 28 e non potrebbe ritenersi compresa neppure nel secondo comma dello stesso, poiché quest’ultimo comma costituirebbe una specificazione del primo e, pertanto, solo le ipotesi elencate potrebbero essere revocate per difetto dei presupposti originari a seguito dell’intervento della Corte costituzionale;
2) il termine di 6 mesi contemplato nel comma 3 si riferirebbe esclusivamente alle ipotesi di cui al primo comma;
3) la competenza spetterebbe al Giudice dell’esecuzione.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, al fine di fornire adeguata risposta al quesito posto, riteneva rilevante addivenire ad una ricostruzione del primo e del secondo comma dell’art. 28.
Secondo una prima impostazione restrittiva, accolta dalla I sez. penale, il secondo comma dell’art. 28 non introduce un nuovo caso di revocazione della misura ma l’espediente è limitato alle sole ipotesi indicate nel comma 1. A sostegno di tale interpretazione sono intervenute le cc.dd. sentenze Iannuzzi e Carnovale della Sesta Sezione.
Al contrario, altra giurisprudenza riconosce al secondo comma dell’art. 28 valenza integratrice dei casi già previsti dal primo.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di aderire alla impostazione meno restrittiva perché l’art. 28, “in ogni caso”, delinea una fattispecie aperta e così interpretato, include nel proprio ambito applicativo la declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 24/2019. Tale interpretazione, da un lato, consente di estendere quanto statuito dalla Corte costituzionale anche alle confische divenute irrevocabili e, dall’altro lato, individua il rimedio per far valer l’invalidità originaria della norma.
Dunque, le Sezioni Unite hanno espresso il seguente principio di diritto:
“In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1. Comma1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, è la richiesta di revocazione, di cui all’art. 28, comma 2, del d.lgs. citato”.
Quanto al secondo quesito posto alle Sezioni Unite, occorre considerare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 24/2019, non dichiarava formalmente l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ma tale pronuncia andrebbe ricompresa nell’alveo di sentenze di rigetto interpretative.
La Corte costituzionale, infatti, nella motivazione, riteneva che, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, l’art. 1 lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 sia stato correttamente interpretato, tanto da consentire ai consociati di prevedere in quali casi e in quali modi essi potranno essere sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nonché alle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca.
Gli elementi fattuali che il Tribunale deve considerare e valorizzare nella motivazione del provvedimento applicativo della misura di prevenzione sono: a) delitti commessi abitualmente dal soggetto; b) abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) costituiscano o abbiano costituito, in una determinata, epoca l’unico reddito del soggetto, o quantomeno una parte significativa di questo.
Atteso che le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale non hanno valore erga omnes, queste non possono comportare la revoca di provvedimenti definiti, potendo tutt’al più costituire un punto di riferimento per i procedimenti ancora pendenti.
Un esame specifico, tuttavia, è da compiere a proposito dei casi, non infrequenti, in cui la confisca sia stata disposta per un doppio titolo, ossia sulla base della riconduzione del proposto alla categoria di soggetti di cui alla lett. a), del comma 1 dell’art. 1, d.lgs 6 settembre 2011, n. 159 e di cui alla lett. b) dello stesso.
La Suprema Corte precisava che, in tale ipotesi, occorre valutare se il provvedimento di confisca disposto sulla base di quanto previsto dalla lett. b) abbia valenza autonoma ed autosufficiente, cioè sia svincolato rispetto alla pericolosità generica, considerata incostituzionale.
Dunque, la Corte di Cassazione, quando è investita del ricorso avverso un provvedimento applicativo di misura, che prima della pronuncia di illegittimità costituzionale abbia inquadrato la pericolosità sociale del proposto nella categoria di cui alle lett. a) e b) del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non è tenuta a disporre l’annullamento con rinvio, a condizione che la motivazione circa la confisca si basi sulla categoria non investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale e sia parallelamente autonoma e autosufficiente.
Le Sezioni Unite hanno, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto:
“Se la Corte di Cassazione, investita del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art.1, comma 1, lett. a) e lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, per far valere gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 24 del 2019, è tenuta all’annullamento senza rinvio della sola misura fondata, in via esclusiva, sull’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a)”.
Alla luce dei principi di diritto enunciati, gli Ermellini dichiaravano il ricorso inammissibile poiché, pur avendo correttamente individuato il rimedio da esperire per adottare la pronuncia della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 24/2019, il ricorso è aspecifico, non avendo il ricorrente precisato, e non essendo altrimenti deducibile, se la confisca in questione fosse stata disposta in via esclusiva per il profilo di pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
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