Droghe pesanti e droghe leggere negli Anni Duemila

Di Andrea Baiguera Altieri -

 

  1. La ratio della parificazione tra droghe pesanti e droghe leggere

Secondo il parere di Sgubbi & Manes[1] (2007), equiparare le droghe pesanti e quelle leggere costituisce un grave errore sotto il profilo della “ragionevolezza” normativa, soprattutto perché, nel Diritto Comunitario europeo, la distinzione tra la canapa e le altre sostanze è ben presente. Del pari, Donini[2] (2010) segnala che “l’attuale politica italiana in materia di stupefacenti, che equipara droghe leggere e droghe pesanti, in cornici edittali altissime […] non è razionale, e pare destinata a sicuri cambiamenti”. Soltanto Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2008, n. 22643 ha precisato che l’intera problematica non ha una ratio giuridica, bensì medico-tossicologica, ovverosia “l’assimilazione è frutto di una scelta discrezionale del Legislatore, basata sull’adesione ad una determinata opinione scientifica, cui, ovviamente, può opporsi, in modo legittimo, l’opinione basata sulla non assimilabilità delle sostanze sotto il profilo della gravità degli effetti che queste sono in grado di determinare”. Il grande merito della testé menzionata Sentenza contenuta in Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2008, n. 22643 consta nell’aver, formalmente e coraggiosamente, svelato che un’eventuale novella dell’Art. 73 TU 309/90 in tema di haschisch e marjuana si deve, prima, fondare su un serio approfondimento della “pericolosità” medico-legale della cannabis. Il TU 309/90, per sua natura, non deve abbandonarsi a strumentalizzazioni ideologiche, bensì deve tutelare, sotto il profilo della ratio, quel bene della “salute collettivagarantito dal comma 1 Art. 32 Cost. (“La Repubblica [anche con afferenza al tema degli stupefacenti] tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]”). Un eventuale “alleggerimento” sanzionatorio, nell’ Art. 73 TU 309/90, in tema di canapa, non si deve risolvere nell’assecondamento di mode ludico-ricreative giovanili, bensì deve tenere in conto l’autentica tossicità e lesività psico-fisica dell’haschisch e della marjuana. D’altra parte, anche la Consulta 114/1998, in tema di bevande alcoliche e tutela della salute, ha rimarcato che, nell’ambito delle sostanze d’abuso, “il Diritto Penale [deve tenere in conto] dei riferimenti scientifici e la rispondenza alla realtà [tossicologica] delle situazioni […] [impiegando] un particolare rigore, per le conseguenze che ne discendono sia per la libertà dei singoli, sia per la tutela della collettività”. Dunque, l’Art. 73 TU 309/90 va letto sempre e comunque nell’ottica della ratio della tutela della salute, tanto privata quanto collettiva, ex comma 1 Art. 32 Cost.  A tal proposito, Pulitanò[3] (2006) parla di “rapporti tra scienza e diritto” nell’Art. 73 TU 309/90, poiché, alla luce del comma 1 Art. 32 Cost., “proprio in un tale orizzonte [medico-legale] di controversie scientifiche e di valore si pongono delicati problemi, anche di legittimità costituzionale, relativi alla disciplina delle sostanze stupefacenti”.

In buona sostanza, la droga “leggera” è o non è tale, solo se la Medicina può garantirne la non-offensività sotto il profilo sanitario; profilo sanitario, a sua volta, giuridicamente garantito e tutelato nella Carta fondamentale. P.e., in Germania, i tossicologi Patzak & Markus & Goldhausen (2006)[4] reputano tossicologicamente pericolose le droghe leggere. Oppure ancora, gli anglofoni Nutt & King & Saulsbury & Blakemore[5] (2007) parlano di una grave tossicità del THC, più distruttivo ancora del tabacco e delle bevande alcoliche, poiché “risulta giustificata la parificazione di trattamento tra droghe pesanti e droghe leggere […] le droghe leggere altro non sono se non droghe di passaggio verso quelle pesanti […] i cannabinoidi sono le nuove droghe pesanti […]. L’innocuità della canapa non sembra confortata da acquisizioni indiscusse nelle Letteratura scientifica”. Inoltre, l’uncinamento progressivo recherà quasi sempre l’assuntore di haschisch e di marjuana a provare l’esperienza dell’eroina, della cocaina e dell’ecstasy. Sempre sotto il profilo tossicologico-forense, Patzak & Markus & Goldhausen (ibidem) sottolineano che “il principio attivo (THC) contenuto nei derivati della cannabis attualmente in circolazione è sensibilmente aumentato […] il principio attivo presente in alcune sostanze stupefacenti è incomparabilmente maggiore che in passato (dallo 0,5/1,5 % che caratterizzava i derivati della cannabis negli Anni ’70 e ’80 a valori attuali pari al 20/25 %, con punte anche superiori). Tali aumenti […] sono emblematizzati dalla skunk, una varietà di cannabis creata sin dalla fine degli Anni ’80 ibridando alcune varietà già al tempo esistenti (cannabis indica e cannabis sativa), con un fortissimo potenziamento del principio attivo. Nel 2004, sulla piazza di Milano, la concentrazione di THC media era dell’8 % per la marjuana e del 9 % per l’haschisch, anche se detti valori variano di molto a seconda della località di provenienza e del modo di lavorazione. Meno inquietante è stato il report del quotidiano The Guardian (2007)[6], secondo cui “da un lato, il contenuto medio di THC presente nella cannabis in circolazione [nel Regno Unito] nel 2005, raggiunge livelli duplici rispetto al 1995, attestandosi a circa il 14 %, ma solo il 4 % della skunk raggiunge un livello di THC superiore al 20 % […]. La cannabis tradizionale, ancora prevalente sul mercato [inglese] conta livelli di THC attestati sul 3-4 %”. A parere di chi redige, le sementi ogm, provenienti soprattutto dal New Zealand, hanno provocato un innalzamento esponenziale della concentrazione di THC. A fronte di tali affermazioni rassicuranti, peraltro non condivise da molti, la cannabis, nel Regno Unito, è stata classificata alla stregua di una “sostanza a basso rischio per la salute”, al pari degli antidolorifici o delle benzodiazepine. Tuttavia, il dibattito, anche presso la Criminologia britannica, rimane drammaticamente aperto. Nutt & King & Saulsbury & Blakemore (ibidem) hanno sintetizzato che “la cannabis dev’essere considerata più nociva di LSD ed ecstasy, ma alcol e tabacco vanno riconosciuti come ancor più nocivi”. Tuttavia, a parere di chi scrive, i quattro summenzionati Dottrinari anglofoni sottovalutano eccessivamente l’MDMA e le varianti di canapa aventi effetti collaterali allucinogeni nel lungo periodo. Secondo Pulitanò (ibidem), “l’unico punto [medico-forense] di convergenza sembra limitarsi a segnalare l’esigenza di mantenere, in linea di principio, una distinzione tra le due categorie [delle droghe pesanti e di quelle leggere]”.

  1. La scelta de jure condito.

La parificazione tra droghe leggere e droghe pesanti è, di fatto, smentita dalla scelta del moltiplicatore contenuto nel DM 11 aprile 2006, che stabilisce la quantità massima detenibile (QMD). Infatti, i moltiplicatori utilizzati sono stati pari a:

  1. 20 per la cannabis
  2. 10 per l’eroina
  3. 5 per la cocaina, l’ecstasy e le amfetamine
  4. 3 per l’LSD

Da tale scelta, che influisce, matematicamente, sulla QMD, si comprende che il Legislatore ha inteso porre una “scala” di pericolosità per le varie sostanze. Ora, la cannabis, con un moltiplicatore pari a 20, è stata, di fatto, reputata meno pericolosa delle sostanze “dure”. Dunque, nel DM 11 aprile 2006, il Legislatore ha manifestato un trattamento sanzionatorio meno severo per le droghe leggere. Per conseguenza, a prescindere dalle declamazioni retoriche pre-elettorali, il TU 309/90, nel concreto, ha accettato la differenziazione tra sostanze leggere e sostanze pesanti, poiché la QMD di haschisch e marjuana è più elevata alla luce della presunta minore pericolosità sanitaria del THC ex comma 1 Art. 32 Cost. Per inciso, anche se si tratta di un profilo ormai secondario, Froldi[7] (2007) osserva che, de jure condito, sarebbe stato preferibile conteggiare la QMD su base settimanale anziché giornaliera, giacché l’”uso esclusivamente personale” andrebbe parametrato tenendo conto della provvista necessaria ad un tossicodipendente durante un’intera settimana. Ognimmodo, è e rimane sintomatico che, essendo la QMD di canapa molto più alta della QMD delle droghe dure, il Legislatore, implicitamente, ha voluto accettare la tesi della minore pericolosità tossicologico-forense della cannabis. A parere di chi scrive, tuttavia, il DM 11 aprile 2006 ha dimenticato i devastanti effetti del THC nel lungo periodo.

In ogni caso, a prescindere dalle perplessità che circondano tutt’oggi la ratio della QMD nel DM 11 aprile 2006, sta di fatto che, come osservato da Donini[8] (2007), il Legislatore, nel predeterminare la QMD, ha (ri)posto a fondamento dell’Art. 73 TU 309/90 la ratio costituzionale della tutela, tanto individuale quanto collettiva, della “salute pubblica” ex comma 1 Art. 32 Cost.  Anzi, Donini (2007) rimarca la natura assiologica suprema ed intangibile del comma 1 Art. 32 Cost. nelle disposizioni penali del TU 309/90. La protezione sanitaria dei consociati costituisce un valore assoluto e totalizzante nelle politiche criminali italiane per il contrasto all’uso di droghe. Tuttavia, di parere difforme è Verga[9] (2005), a parere del quale la ratio della “salute pubblica” ex comma 1 Art. 32 Cost. non è utilizzata “in base alla reale pericolosità delle sostanze, ma a partire dal grado di accettazione sociale di tale pericolosità. Se così non fosse, non potremmo spiegarci altrimenti perché la nostra cultura ammette, e talvolta promuove, le bevande alcoliche, mentre vieta l’uso di altre sostanze, come, ad esempio, la cannabis, la cui pericolosità non è certo superiore”. Verga (ibidem) probabilmente non erra nel denunziare la perenne commistione meta-normativa tra la ratio della tutela sanitaria collettiva e, dall’altro lato, la ratio sociologicamente cangiante della “accettazione sociale”. D’altra parte, anche Bonini[10] (2006) evidenzia che spesso, negli ultimi decenni, il Legislatore italiano, non solo nel TU 309/90, ha “confuso o sovrapposto la tutela della salute [ex comma 1 Art. 32 Cost.] con [altre] istanze di tutela fortemente eticizzate […] [il Legislatore] ha accettato di accogliere una co-tutela paritaria di [altri] interessi vicini o magari anche, tra di loro, radicalmente eterogenei”. Come si può notare, anche Bonini (ibidem), al pari di Verga (ibidem), fa risaltare, nell’Art. 73 TU 309/90, la commistione a-tecnica tra il comma 1 Art. 32 Cost. e la ratio, completamente extra-normativa, della “accettazione sociale” di talune sostanze tossico-voluttuarie. Assai acuto e culturalmente schietto è Ruga Riva[11] (2023), il quale reputa che, negli Anni Duemila, la ratio dell’“ordine pubblico”, nel TU 309/90, ha ormai sostituito quella della “salute pubblica”. Oltretutto, Ruga Riva (ibidem) sottolinea che invocare la tutela dell’ordine pubblico è semplicistico, populistico, e potrebbe aprire la strada ad eventuali derive anti-democratiche, in tanto in quanto, come insegna l’esperienza del passato, “l’ordine pubblico reca indefinite potenzialità di realizzazione e [possiede] persistenti ambiguità”. In effetti, anche a parere di chi commenta, la ratio dell’ordine pubblico finisce, poi, per condurre all’applicazione di strumenti rimediali eccessivamente incisivi ed estensibili ad libitum. Per parte sua, Paliero[12] (2006) ha messo in evidenza, non solo nell’Art. 73 TU 309/90, l’utilizzo ambiguo e totalizzante del principio della “sicurezza pubblica […], un concetto che deve la sua fortuna anche al forte ascendente mass-mediatico”.

La Corte Costituzionale 333/1991 ha posto alla base dell’Art. 73 TU 309/90 valori non costituzionalmente espliciti, come “la tranquillità, … la quiete pubblica, … la serenità delle famiglie, … l’educazione ed il normale sviluppo delle giovani generazioni”. Ricordiamo anche la Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973. Porre altri, alternativi fondamenti alle disposizioni penali del TU 309/90 significa allontanarsi dalla ratio legislativa primigenia degli Anni Novanta del Novecento. A parere di chi redige, la tutela della salute, ex comma 1 Art. 32 Cost., deve rimanere l’àncora fondamentale dell’interpretazione degli Artt. 73 e sgg. TU 309/90. Ogni altro valore, benché moralmente pertinente, risulta a-tecnico, in tanto in quanto non espressamente contemplato nella Carta fondamentale.

La tematica del bene, prevalentemente costituzionale, tutelato dall’Art. 73 TU 309/90, non costituisce un interrogativo ozioso o pleonastico. Infatti, in Dottrina, pure Ronco[13] (2007) asserisce che “la ricostruzione dell’oggetto di tutela [delle disposizioni penali del TU 309/90] […] rischia di depistare le possibili prestazioni del principio di offensività, ed aggira, di fatto, lo sforzo di rintracciare un plausibile fondamento costituzionale a base giustificativa dell’opzione penale, proiettando, nel fuoco dell’offesa, interessi incapaci di significative prestazioni selettive”. Anche Petrini[14] (2007) mette in guardia da chi utilizza, in maniera semplicistica o, addirittura, politicizzata, i principi cardine dell’ordine pubblico e della salute pubblica, poiché “[ordine pubblico e salute pubblica] sono gli oggetti di tutela prescelti da chi ricostruisce [senza rigore tecnico, ndr] ogni condotta di spaccio, [a prescindere dalla qualità della sostanza, ndr], al prezzo di omologare diversi quadri di pericolosità, livellandoli”. In buona sostanza, secondo Petrini (ibidem), la messa in pericolo dell’ordine pubblico e della salute collettiva non è la medesima se viene spacciata eroina, magari tagliata male, piuttosto che marjuana con una bassa concentrazione di principio attivo. Petrini (ibidem) invita a non confondere la ratio giuridica da tutelare con l’oggetto di un comizio politico. Tuttavia, perlomeno nella Dottrina penalistica, non manca chi rileva che, sotto il profilo dell’oggettività fattuale, le sostanze d’abuso, soprattutto quelle pesanti, creano gravi pericoli e/o danni a livello di circolazione stradale nonché di sicurezza dei/nei luoghi di lavoro. È innegabile che la “sicurezza” e la “tranquillità” rappresentano criteri meta—normativi, ma, perlomeno dal punto di vista della Criminologia, recano una tutelabilità non inferiore a quella della “salute” ex comma 1 Art. 32 Cost.

In effetti, Donini (2008) precisa che non è del tutto errato inserire, de jure condendo, nel TU 309/90, rationes di stampo criminologico, alternative al comma 1 Art. 32 Cost.  P.e., secondo Donini (2008), sarebbe utile prevedere e punire in maniera aggravata lo spaccio innanzi o dentro alle discoteche, in tanto in quanto “tale contesto […] lascia presupporre l’uso di un autoveicolo [dopo il consumo della sostanza]”. Pertanto, in Dottrina, taluni non reputano improprio introdurre ulteriori “beni tutelabili” all’interno degli Artt. 73 e sgg. TU 309/90. Viene, quindi, contestato il monopolio della ratio suprema della tutela della salute ex comma 1 Art. 32 Cost.

P.e., in Germania, Roxin[15] (2007), con afferenza alla BetmG federale, ha qualificato come perfettamente tutelabile, in caso di spaccio su suolo pubblico, la “öffentliche Friede” [pace pubblica], benché non si tratti, nemmeno nel contesto tedesco, di un valore costituzionalmente garantito in forma espressa; tuttavia, trattasi di un bene criminologico perfettamente degno di tutela nello svolgimento della vita quotidiana dei consociati.

Talvolta, a parere di chi scrive, i valori della politica criminale sono ben più versatili ed aggiornati rispetto ad ormai datate e lacunose norme di rango costituzionale. Parimenti, Fiore & Fiore (2004)[16] lamentano che, nel TU 309/90, manca una “corretta definizione dell’oggetto protetto e della sua titolarità […] [Manca], tra i diversi beni aggrediti, l’individuazione di quello che rappresenta ed esprime l’essenza del contenuto offensivo [delle disposizioni penali del TU 309/90]”. Sempre a tal proposito, molti Autori, in Dottrina, hanno parlato di una “plurioffensività” del fenomeno degli stupefacenti, il quale non è necessariamente e tassativamente connesso al comma 1 Art. 32 Cost.  P.e., nella Giurisprudenza di legittimità, con attinenza all’ Art. 73 TU 309/90, Cass., sez. pen. VI, 10 maggio 1990, n. 12576 ha sostenuto che il delitto di spaccio di stupefacenti non lede tanto la salute dell’acquirente, quanto, piuttosto, la sicurezza della “collettività sociale”, che, successivamente, dovrà pagare il costo morale ed economico della tossicodipendenza. Esistono molti altri Precedenti che parlano di “plurioffensività” dello spaccio di sostanze illecite. Dunque, il bene costituzionale della “salute” individuale e, soprattutto, collettiva, non reca più un ruolo egemonico nell’interpretazione della ratio fondante gli Artt. 73 e sgg. TU 309/90. Tuttavia, la novità, decisamente a-tipica, consta nel fatto che tali nuovi “beni giuridicamente offensibili” vengono introdotti grazie all’apporto della Criminologia e non del solo Diritto Costituzionale. Ciononostante, sussiste il pericolo che la “plurioffensività” venga monopolizzata dalla volgarità pre-elettorale, che soddisfa allarmismi sociali completamente estranei alla tecnica giuridico-criminologica.

  1. L’ esempio paradigmatico della cessione di una sostanza priva di efficacia drogante.

In maniera tradizionalistica e nel pieno rispetto del comma 1 Art. 32 Cost., si è, da subito, osservato che un quantitativo, anche ponderalmente ingente, di sostanza priva di efficacia drogante “non costituisce reato”, poiché lo pseudo-stupefacente non è in grado di ledere il bene giuridico-criminologico della salute. Tale è il parere di Cass., sez. pen. IV, 12 gennaio 2000, n. 3584. Analogo, nella Giurisprudenza di merito, è pure l’autorevole orientamento di Tribunale di Milano, 21 gennaio 1999, Ben Amara. Fa eccezione, con il proprio parere, Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973. D’altra parte, de jure condito, anche il DM 11 aprile 2006, nei Lavori Preparatori, precisa che anche il concetto di QMD ha un senso solo se “ruota comunque attorno alla percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza […] [Occorre] una valorizzazione della concreta capacità psicotropa della singola droga […] e, dunque, una considerazione della sua potenzialità nociva per la salute”. Ecco, dunque, nei Lavori Preparatori del DM 11 aprile 2006, un rinnovato e vigoroso rifiuto della categoria dei “reati a pericolosità astratta”. Sempre i Lavori Preparatori del DM 11 aprile 2006 ripetono che, in presenza di un tenore drogante pari a zero o prossimo allo zero, “sarebbe difficile sostenere un pur potenziale perturbamento nei confronti di qualsiasi oggettività giuridica che non sia il semplice simulacro del divieto in sé”. Il DM 11 aprile 2006 giunge a qualificare come una “incrostazione formalistica” pretendere di punire lo smercio, la coltivazione o la produzione di una sostanza fattualmente priva di efficacia drogante e, dunque, “non offensiva” alla luce del comma 1 Art. 32 Cost.

Cass., SS.UU., 29 novembre 2007, n. 47472 ha affrontato, per la prima volta nella Giurisprudenza di legittimità, la questione di diritto della “irrilevanza, ai fini dell’esclusione del reato di cessione ex Art. 73 comma 1 TU 309/90, del mancato raggiungimento di una [sufficiente] soglia drogante del quantitativo di droga ceduto”.

Già negli Anni Ottanta e Novanta del Novecento, Corte Costituzionale nn. 62/1986, 333/1991 e 360/1995 avevano rimarcato che, in tema di coltivazione di droga, il reato ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 si configura soltanto se il prodotto finale ha un tenore drogante tale da mettere in pericolo il bene della salute degli assuntori. Viceversa, “il reato non sussiste”, in tanto in quanto è e rimane completamente “astratta” l’offesa al comma 1 Art. 32 Cost.

Simile è pure il parere, presso la Suprema Corte, di Cass., sez. pen. VI, 29 marzo 2007, n. 28661, ovverosia “è innegabile che l’assoluta inidoneità dell’offensività specifica della singola condotta, in concreto accertata, a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato [ex comma 1 Art. 32 Cost.], fa venir meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, in quanto l’indispensabile connotazione di offensività in generale della norma [ex Art. 73 TU 309/90] implica, di riflesso, la necessità che anche in concreto l’offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’ agente (in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile) […] Se la dose di droga reca un principio attivo in misura talmente esigua da essere sicuramente insufficiente, ove assunto, a determinare un apprezzabile stato stupefacente, non si può riconoscere come sussistente la detta offensività [contro il bene della salute] e non si può, quindi, considerare come penalmente rilevante la condotta dell’agente”.

Cass., SS.UU., 29 novembre 2007, n. 47472, invece, ha rigettato la tesi di Cass., sez. pen. VI, 29 marzo 2007, n. 28661 e, in maniera formalistica, ha ritenuto sempre, comunque e costantemente rilevante, ai fini della punibilità penale, lo spaccio di una QMD superiore a quella destinata all’uso esclusivamente personale. A parere di chi scrive, Cass., SS.UU., 29 novembre 2007, n. 47472 si è erroneamente abbandonata ad una delle predette “incrostazioni formalistiche” reputate fuorvianti dai Lavori Preparatori al DM 11 aprile 2006. A parere di chi commenta, ipostatizzare il criterio ponderale, anziché quello qualitativo, significa introdurre, nell’Art. 73 TU 309/90, un reato a pericolosità astratta, dunque ontologicamente estraneo al Diritto Penale sostanziale. Provvidenzialmente, Cass., SS.UU., 29 novembre 2007, n. 47472 non è l’unico orientamento espresso dalla Suprema Corte. P.e., taluni Precedenti di legittimità hanno osservato che, nella fattispecie dell’eroinomania cronica, anche un basso tenore drogante della dose può recare a “stupor”, in considerazione dell’elevata sensibilità psico-fisica dell’eroinomane alla sostanza. Oppure ancora, altri Precedenti notano che esiste una “eroina killer”, tagliata con caffeina e barbiturici, la quale manifesta anch’essa una scarsa capacità drogante, ma, sotto il profilo qualitativo, è penalmente offensiva perché reca facilmente all’overdose, a causa della natura non buona del “taglio”. Dunque, ciò che conta è il profilo qualitativo, poiché il Magistrato del merito non deve limitarsi ad una formalistica analisi ponderale della QMD. Taluni hanno proposto, come via d’uscita, la (ri)valutazione delle rationes criminologiche alternative al canone primigenio della “salute pubblica” di cui al comma 1 Art. 32 Cost.  P.e., si potrebbe analizzare se e come la cessione di una sostanza “non drogante” venga, comunque, a ledere valori alternativi quali la “tranquillità pubblica” o la “sicurezza degli spazi comuni”. Di nuovo, taluni, in Dottrina, propongono, dunque, di non assolutizzare il principio della “salute.

  1. Profili di politica criminale.

Feinberg (1986)[17] si interroga sul ruolo vero del Diritto Penale all’interno della tematica delle droghe, in tanto in quanto “una materia così divisa tra politica e scienza dovrebbe essere osservatorio privilegiato della scienza penale integrata, caldeggiata da von Liszt nel celebre Programma di Marburgo, dove si postulava già, in termini forse pionieristici per l’epoca, la necessità che il Diritto Penale cercasse la propria base di conoscenza nelle scienze empiriche (antropologia, psicologia e statistica criminale) per misurare la razionalità delle proprie soluzioni […] per declinare in chiave dialogica […] le scelte politico-criminali, senza imporle in modo auto-referenziale, performativo o autoritario”.

D’ altra parte, anche nella vicina Germania, Dottrinari del calibro di Roxin non hanno timore di postulare “limiti del Diritto Penale” in ambiti sociologicamente complessi come quello delle tossicodipendenze. In effetti, il tossicomane necessita, anzitutto e soprattutto, di cure sovente incompatibili con il trattamento carcerario.

Dal canto suo, Donini[18] (2004) è anch’egli favorevole ad un auto-riduzionismo del Diritto Penale, che non costituisce la risposta a devianze antisociali, ancorché non antigiuridiche o, ognimmodo, scarsamente antigiuridiche. Sempre Donini (2004) invita a “prendere sul serio l’idea del Diritto Penale come ultima o extrema ratio […] così non è, o, per lo meno –fino ad ora– non è stato, almeno in materia di stupefacenti”. D’altra parte, la questione criminologica del “disagio giovanile” nulla ha a che fare con le categorie totalizzanti del Diritto Penale e della presunta rieducatività della pena detentiva.

In chiave anti-proibizionistica, Sgubbi (2006)[19] ha affermato che l’ipostatizzazione delle norme penali in tema di stupefacenti “rischia di strumentalizzare la pena a fini politico-criminali o a fini politici tout court, irrigidendo un modello proibizionista, come quello italiano, già piuttosto severo”. Tuttavia, Sgubbi (ibidem) dimentica che le cc.dd. “droghe leggere”, ovvero la canapa, nel lungo periodo, producono effetti psico-fisici devastanti, con una sconcertante “spersonalizzazione” del cervello del giovane assuntore.

[1] Sgubbi & Manes, L’ interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale, BUP (Bologna University Press), 2007.

[2] Donini, Danno e offesa nelle materie eticamente pregnanti e nelle politiche penali della sicurezza, Giuffrè, Milano, 2010.

[3] Pulitanò, Il diritto penale tra vincoli di realtà e sapere scientifico, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 2006.

[4] Patzak & Markus & Goldhausen, Cannabis – wirklich eine harmlose Droge ? In NstZ, 2006.

[5] Nutt & King & Saulsbury & Blakemore, Development of a rationale scale to assess the harm of drugs of potential misure, Lancet, 2007.

[6] The Guardian, Report sulla cannabis nel Regno Unito, 17/09/2007.

[7] Froldi, Commento all’ Art. 4 quinquies DL 30.12.2005, n. 272, in LP, 2007.

[8] Donini, Modelli di illecito penale minore. Un contributo alla riforma dei reati di pericolo contro la salute pubblica, in Donini & Castronuovo, La riforma dei reati contro la salute pubblica, CEDAM, Padova, 2007.

[9] Verga, Gli effetti collaterali del proibizionismo, Cassazione Penale, (9), 2787-2798, 2005.

[10] Bonini, Doping e diritto penale, CEDAM, Padova, 2006.

[11] Ruga Riva, La nuova legge sulla droga, Sistema Penale (online), 10/01/2023.

[12] Paliero, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed effetti penali dei media), in Rivista italiana di procedura penale, 2006.

[13] Ronco, Il controllo penale delle droghe alla luce del principio di offensività, Legislazione Penale, 2007.

[14] Petrini, Per una disciplina giuridica degli stupefacenti che sostenga il disagio senza criminalizzarlo, IRIS, Università.

del Piemonte Orientale, 2007.

[15] Roxin, Was darf der Staat unter Strafe stellen ? Ediciones Universidad de Salamanca, 2007.

[16]Fiore & Fiore, Diritto Penale, Parte generale, I, seconda edizione, UTET, Torino, 2004.

[17]Feinberg, The Moral Limits of the Criminal Law, Volume III, Harm to Self, New York – Oxford, 1986.

[18] Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, Giuffrè, Milano, 2004.

[19]Sgubbi, Prefazione, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, CEDAM, Padova, 2006.

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