Il Ruolo degli Stati Uniti- Canada- -Australia, nella lotta al terrorismo
Di Patrizia Filomena Rosa -
Il terrorismo internazionale. Una definizione difficile.
Già noto a partire dagli anni ’60, il “terrorismo internazionale” è andato via via espandendosi dopo gli accadimenti dell’11 Settembre 2001 negli Stati di New York e Washington, sino a manifestarsi, nella cronaca contemporanea, con forme di violenza nuove e mutevoli di dimensioni ed aggressività crescenti.
Le manifestazioni violente ed atroci del fenomeno, che hanno recentemente colpito il cuore delle città occidentali, sono riconducibili ad attacchi violenti indirizzati alle democrazie occidentali da parte di gruppi organizzati di matrice prevalentemente religiosa meno conosciuti agli analisti. Certamente meno conosciuta, quantomeno agli analisti del fenomeno, è la dimensione degli attacchi “solitari”, più comunemente detti “foregein- terrorit- act.”
Tale nuova manifestazione del “terrorismo”, difatti, ha posto nuovamente in crisi le misure repressive sin ad ora maturate dai vari Stati impegnati nella salvaguardia della sicurezza comune.
Del resto, non sempre, di fronte alla fluidità del fenomeno terroristico, le politiche nazionali ed internazionali hanno dimostrato un buon grado di adattamento.
La difficoltà è palesata dall’assenza di una definizione comune del concetto di “terrorismo” a tutti gli attori della scena internazionale.
Fra i primi, gli Stati Uniti hanno adottato il termine “terrorismo” per definire ogni violenza, attuata da parte di gruppi sub-nazionali o da agenti clandestini, politicamente motivata e praticata nei confronti di soggetti non combattenti. Per converso, laddove l’azione violenta coinvolga cittadini o beni appartenenti a più di un Paese, si parla di “fenomeno terroristico internazionale”.
Tuttavia, viene immediatamente in rilievo come non si faccia alcun riferimento a quelle azioni compiute dal singolo, recentemente affermatesi sulla scena contemporanea. Parimenti è evidente l’assenza di una definizione “nozionistica” del termine “terrorismo”.
Si è, piuttosto, di fronte ad elementi “tipici” e tendenze impiegati nell’identificazione del fenomeno per lo più allo scopo di distinguerlo da altre manifestazioni violente che ledono la pace e la sicurezza pubblica. [1]
In altri termini, all’espressione “terrorismo” non coincide una definizione specifica, ma piuttosto una “tipologia” di minaccia, connotata da caratteristiche particolari diversamente individuate fra i vari attori della scena internazionale.
Appare, a questo punto, imprescindibile riferirsi più da vicino all’esperienza statunitense, con riferimento alle reazioni seguite agli accadimenti dell’11 Settembre 2001, quando la straordinaria portata degli atti terroristici di matrice Islamica ha segnato, nell’immaginario collettivo, la fine della presunta impenetrabilità dello Stato Americano.
Con puntuale riferimento alla legislazione Americana, le misure anti-terrorismo poste in essere nell’immediatezza degli attacchi si sono caratterizzate per una massiccia riduzione della sfera della libertà personale del singolo individuo.
In tale senso vanno interpretati i provvedimenti adottati nell’“Usa Patriot Act”, approvato appena pochi giorni dopo l’11 settembre, e nel “President Military Order”, emanato dal Presidente Bush nel novembre 2001.
Segnatamente, frutto della pressione nascente dagli attentati lo “Usa Patriot Act” si presenta come un provvedimento estremamente controverso, tanto più che palesemente lesivo di alcune libertà costituzionalmente garantite.
Invero, se indubbio è il vantaggio rappresentato dall’incremento dei poteri delle autorità investigative e dallo scambio sempre più corposo di informazioni tra le agenzie di intelligence, piuttosto elevato è il prezzo da pagare sia in termini di sacrificio delle garanzie, sia in termini di rischio di esercizio arbitrario dei poteri centrali.
La conseguenza diretta di questo atteggiamento si riscontra osservando l’impatto che l’emergenza terrorismo ha esercitato sulla scala gerarchica delle priorità e dei valori dello Stato Americano.
Le leggi “speciali”, destinate alla regolamentazione di una particolare situazione straordinaria, sono risultate prive del requisito della temporaneità.
In questo modo, la legislazione anti-terrorismo non si è affiancata al sistema normativo ordinario ponendosi come strumentale al superamento di uno stato di eccezione, ma si è ripercossa sul diritto interno integrandosi nell’ordinamento in modo permanente, minando, di fatto, l’apparato di garanzie fondamentali storicamente alla base della democrazia Americana.
Allo stato, tuttavia, in contro-tendenza al dominio della War on Terrorism, si avverte, a diversi livelli, la necessità di una limitazione degli effetti delle leggi assunte sull’onda dell’emergenza terroristica.
In tale filone, recentemente, la Corte Suprema Statunitense ha assunto un ruolo di “garanzia” nella limitazione degli strapoteri del Presidente federale e nell’affermazione della inviolabilità del diritto alla difesa di ciascun individuo.
Stati Uniti, Canada, Australia: esperienze diverse a confronto.
Un riferimento va rivolto anche a quelle esperienze occidentali non immediatamente collegate a manifestazioni terroristiche.
Il Canada, per le ragioni geografiche, politiche, economiche e culturali che lo legano al vicino di casa statunitense, è certamente il Paese che ha sentito forte l’impatto della minaccia terrorista, nell’immediatezza degli eventi del 2001, e sino ai più recenti fenomeni.
Come già negli Stati Uniti, anche nell’esperienza Canadese le misure di repressione al terrorismo hanno riguardato l’adozione di leggi “speciali”, approvate sull’impulso delle manifestazioni violente.
Il 18 settembre 2001 l’Anti-Terrorism Act (Bill C-36) ha sancito una lotta “preventiva” al terrorismo, con conseguenti limitazioni alla sfera dei diritti individuali, che hanno riguardato soprattutto il rafforzamento dei controlli alle frontiere, l’implementazione di misure “straordinarie” in tema di controlli e di repressione penale, utili all’identificazione al perseguimento, alla reclusione e alla condanna dei terroristi.
Fortemente mutata è risultata anche la normativa di immigrazione contro l’eventuale e possibile formazione di nuclei terroristici.
Di particolare interesse è anche l’introduzione del “Public Safety Act”, un pacchetto di diciotto leggi federali mirate a rafforzare e ad ampliare il ruolo del Governo nel prevenire e nel reprimere gli attacchi terroristici.
E come già nell’esperienza Americana, la natura “speciale” delle misure adottate pare orientata ad un assorbimento definitivo.
In seguito agli attentati avvenuti nell’ottobre 2014 e nel 2015 il Parlamento Canadese è nuovamente intervenuto con misure di rafforzamento delle Autorità Interne allo scopo di formare una rete investigativa nazionale ed internazionale.
Particolarmente vicina all’esperienza degli Stati Uniti appare anche il sistema repressivo del fenomeno del terrorismo posto in essere in territorio Australiano.
Anche in Australia, in altri termini, la lotta al terrorismo si è essenzialmente tradotta nel sacrificio collettivo della libertà personale in nome della salvaguardia dell’incolumità e della sicurezza comune.
In tale filone, le prime leggi antiterroriste approvate dal Parlamento Australiano hanno garantito un’ampia immunità all’operato dei servizi segreti, nonché l’introduzione della repressione penale per qualsiasi manifestazione di sostegno al terrorismo.
Anche qui, ancora una volta, il carattere temporaneo delle misure straordinarie adottate in materia di terrorismo è destinata a svanire, poiché la legislazione nazionale Australiana va verso un assorbimento definitivo delle leggi in materia di anti-terrorismo.
In conclusione, l’atteggiamento degli Stati, sin qui analizzato, rispetto alla fluidità del fenomeno del terrorismo oscilla fra l’indeterminatezza legislativa e la normalizzazione dell’emergenza.
I Paesi maggiormente colpiti dagli eventi violenti noti alle cronache paiono aver reagito sull’onda della scossa emotiva con provvedimenti incompatibili con i risultati raggiunti, sino ai tempi moderni, in termini di democratizzazione.
Quanto agli sviluppi futuri, i tempi non sono ancora maturi per una definizione delle prospettive politiche, legislative e culturali nel senso della conservazione, innovazione, mitigazione od inasprimento dell’atteggiamento occidentale avverso l’ingente minaccia terroristica.
[1]Degna di nota è la ricerca di elementi “caratterizzanti” il fenomeno operata dagli analisti del centro di studi strategici del Congresso americano “Congressional Research Service” che individuano gli atti terroristici per: i) mancanza di una struttura operativa unica o di una gerarchia definita; ii) fruizione di molteplici canali di finanziamento sia pubblico che privato; iii) fenomeno di tipo transnazionale sia per quanto concerne l’origine dei suoi agenti, sia per quanto attiene allo spazio d’azione; iv) finalità ideologiche e/o religiose.
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