La coltivazione della marjuana nel TU 309/90

Di Andrea Baiguera Altieri -
  1. L’ esegesi del lemma “coltivazione”.

Nel vocabolario Treccani della lingua italiana, il verbo “coltivare” comprende tutte “le operazioni che vanno dalla preparazione del terreno alla raccolta del prodotto”. La correttezza della coltivazione, nella fattispecie della marjuana, è essenziale, in tanto in quanto una pianta di cannabis priva di tenore drogante non rileva sotto il profilo penalistico, giacché reca una pericolosità tossicologica meramente astratta. Sin dagli Anni Ottanta del Novecento, ha prevalso una nozione “ampia” dell’atto del “coltivare” ex Art. 73 TU 309/90. P.e., Cass., sez. pen. VI, 13 luglio 1987, n. 1576 ha affermato che “ai fini della realizzazione del reato [di cui successivamente all’Art. 73 TU 309/90], sono irrilevanti […] l’estensione del terreno interessato dalla coltivazione, il luogo e le caratteristiche climatiche in cui la coltivazione venga realizzata, le metodologie adottate e il numero delle piante poste a dimora”. Per il vero, Cass., sez. pen. VI, 13 luglio 1987, n. 1576 pecca di giustizialismo, in tanto in quanto, nella Giurisprudenza di legittimità, una piccola coltivazione “domestica” non reca la medesima gravità penale di una coltivazione “imprenditorialmente organizzata”. Anche la qualità della semente e/o del prodotto finale incide assai sulla risposta sanzionatoria apprestata dall’AG.

Molto controversa è la qualificazione del momento in cui s’ha da reputare “consumato” il delitto di coltivazione p. e p. ex Art. 73 TU 309/90. Negli Anni Novanta del Novecento, il discrimine era dato dalla nascita del primo germoglio. P.e., Cass., sez. pen. VI, 4 aprile 1991, n. 7378 asserisce che “il reato di pericolo di coltivazione vietata di piante stupefacenti è già realizzato quando il seme sia stato collocato nel terreno e sia germogliato, senza che rilevi la circostanza che la pianta raggiunga o abbia raggiunto (o meno) la maturità e prodotto il suo frutto”. Analogo è il parere di Cass., sez, pen. VI, 13 luglio 1987, n. 1576, ovverosia “il reato [ex Art. 73 TU 309/90] si deve ritenere consumato non appena il seme impiantato abbia germogliato, e cioè si sia riprodotto, in qualsiasi terreno o recipiente”. Viceversa, negli Anni Duemila, ha prevalso il modello dei reati di mero pericolo, nel senso che il momento consumativo del delitto di coltivazione è stato anticipato alla “posa dei semi”. P.e., entro tale filone ermeneutico, Cass., sez. pen. IV, 8 ottobre 2008, n. 44287 ha sostenuto che “ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata [della marjuana] non importa che le piante siano giunte, o meno, alla maturazione, atteso che la coltivazione ha inizio con la posa dei semi [perché sussiste] una idoneità potenziale delle stesse a produrre una germinazione ad effetti stupefacenti”. A parere di chi redige, Cass., sez. pen. IV, 8 ottobre 2008, n. 44287 si spinge arditamente vicino alla ratio della delittuosità astrattamente pericolosa.

Altrettanto inquisitorio e poco garantistico è anticipare il momento consumativo della coltivazione alla “mera detenzione dei semi”. P.e., Cass., sez. pen. IV, 15 novembre 2005, n. 150 asserisce che “la condotta di coltivazione [di piante di cannabis] è integrata anche solo dalla detenzione dei semi, a nulla potendo rilevare, in ragione della natura di reato di pericolo astratto, il grado di maturazione raggiunto dalla pianta”. Provvidenzialmente, Cass., sez. pen. IV, 15 novembre 2005, n. 150 ha avuto uno scarso séguito, poiché è assurdo dichiarare penalmente rilevante un atto preparatorio non punibile. In effetti, nella Giurisprudenza di merito, anche Tribunale di Bolzano, Ordinanza 16/02/2010 puntualizza che “affinché si possa configurare l’attività di coltivazione punita dalla norma [l’ Art. 73 TU 309/90] è necessario […] che siano stati almeno impiantati i semi; per conseguenza, il semplice possesso di semi di canapa, seppur in notevole quantità, non integra la fattispecie criminosa citata, poiché dal detto semplice possesso non è dato dedurre con certezza l’effettiva destinazione dei semi”. Come si può notare, Tribunale di Bolzano, Ordinanza 16/02/2010 si discosta dal modello inquisitorio dei reati di pericolo a pericolosità meramente astratta, in tanto in quanto un pericolo anti-normativo solamente “potenziale” non ha e non deve avere alcuno spazio precettivo all’interno della Giuspenalistica. La punibilità ipertrofica degli atti preparatori costituisce spesso l’anticamera dei regimi dittatoriali anti-democratici ed anti-garantistici.  Similmente, non è punibile, nella prevalente Giurisprudenza di legittimità, nemmeno la messa in vendita dei semi di marjuana. A tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 22 febbraio 2012, n. 6972 sottolinea che “la mera offerta in vendita di semi, dalla cui pianta sono ricavabili sostanze stupefacenti, di per sé, non è vietata, configurandosi come atto preparatorio non punibile, perché non idoneo, in modo inequivoco, alla consumazione di un determinato reato, per la considerazione che non è dato dedurre l’effettiva destinazione dei semi”. Tale è pure il parere di Cass., sez. pen. II, 1 settembre 1988, n. 10496 nonché di Cass., sez. pen. IV, 4 dicembre 2008, n. 13853.

In tema di vendita di semi di canapa, altrettanto garantistica è Cass., SS.UU., 18 ottobre 2012, n. 47604, Bargelli, poiché essa statuisce che “il [vero] comportamento penalmente rilevante è quello atto a determinare una germinazione, il cui accertamento spetta al giudice […] I giudici [del merito] dovranno verificare, sul piano della lesività, se la pubblicità non solo inducesse alla coltivazione, ma se fosse articolata in modo tale da sollecitare gli acquirenti dei semi a porre in essere un comportamento penalmente rilevante, cioè atto a determinare una germinazione dalla quale fosse ragionevolmente prevedibile il ricavo di un prodotto finito con effetto drogante“. La non punibilità dell’atto preparatorio astrattamente pericoloso è ribadita pure da Cass., sez. pen. VI, 19 giugno 2013, n. 41607, ovverosia “la semplice detenzione di semi di pianta dalla quale siano ricavabili sostanze stupefacenti non è penalmente rilevante, per l’impossibilità di dedurre l’effettiva destinazione degli stessi”. Di nuovo, in Cass., sez. pen. VI, 19 giugno 2013, n. 41607, un pericolo meramente “potenziale” non rileva sotto il profilo penalistico. La Suprema Corte, negli Anni Duemila, ha decisamente rigettato l’ambiguità a-tecnica e populistica dei “reati di mero sospetto”. Anzi, Cass., sez. pen. II, 1 settembre 1988, n. 10496 nega pure che la detenzione di semi di marjuana configuri, ex Art. 56 c.p., il delitto di tentata coltivazione, giacché manca l’atto consumativo della piantagione e della cura della pianta sino allo spuntare del germoglio. Dunque, la semente di cannabis ed il relativo possesso sono “neutri” sotto il profilo dell’offensività anti-normativa. L’evento della consumazione del reato è spostato ben oltre. Nella propria recente Giurisprudenza, infatti, la Cassazione reputa integrato l’art. 73 TU 309/90 solo in presenza di una “visibile germogliazione”.

  1. La coltivazione “rudimentale” di marjuana.

Assai pertinentemente è la sentenza Caruso, Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348, che elenca gli indici “sintomatici” di una coltivazione “rudimentale” di marjuana ad uso esclusivamente personale. Più dettagliatamente, la summenzionata Sentenza precisa che “le attività di coltivazione […] che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore [non sono penalmente perseguibili ex Art. 73 TU 309/90]”. All’opposto, non è “rudimentale”, in Cass., sez. pen. VI, 10 maggio 2007, n. 17983, “la coltivazione in senso tecnico-agrario, ovvero imprenditoriale, la quale è caratterizzata da una serie di presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti”. Sempre Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348, Caruso cataloga ampiamente le caratteristiche dell’attributo “rudimentale”, nel senso che è “domestica” una piantagione:

  1. fatta in vaso o in una piccola buca, senza la “predisposizione” del terreno
  2. la semina è manuale anziché meccanica
  3. il “governo” dello sviluppo della/delle pianta/e è altrettanto manuale
  4. la concimazione è effettuata in maniera artigianale, con pesticidi “ordinari”
  5. non si usano macchine agricole o serre o strumenti professionali
  6. non sono presenti locali per lo stoccaggio e la lavorazione della marjuana

Secondo una recente Giurisprudenza, la ratio della “rudimentalità” della coltivazione è basilare in sede di modulazione della pena, più ancora della variabile della QMD e del numero di piante di marjuana piantumato. P.e., Cass., sez. pen. VI, 30 novembre 2021, n. 2099 afferma che “risulta [addirittura, ndr] irrilevante la quantità del principio attivo all’atto dell’accertamento della condotta, essendo, invece, necessario appurare la concreta modalità attraverso cui l’agente ha inteso organizzare il raggiungimento della maturazione della pianta e la sua conseguente attitudine a produrre l’effetto psicotropo, anche in conformità con la tipologia di pianta in concreto coltivata […] e dei mezzi impiegati (stufa, ventilatore, lampada artigianale, fertilizzanti) per la coltivazione delle piante”. Forse, Cass., sez. pen. VI, 30 novembre 2021, n. 2099 ipostatizza eccessivamente il requisito delle “modalità artigianali [o meno] della coltura”, ma siffatto precedente è senz’altro utile al fine di rimarcare l’importanza essenziale del parametro del “modo”, più o meno professionale, di coltivare. In Dottrina, tuttavia, molti Autori hanno sottolineato che, in epoca contemporanea, la coltivazione “professionale” non sempre è finalizzata allo spaccio, in tanto in quanto, oggi, è normale e pure poco costoso procurarsi strumenti molto ben idonei per la crescita “indoor” della canapa.

  1. Il parametro dello “scarso numero di piante”.

Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348, Caruso afferma che lo “scarso numero di piante” è sintomatico circa la destinazione all’“uso personale” della marjuana. Secondo alcuni Precedenti, di legittimità, contrastanti con Sezioni Unite Caruso del 2019, conta il numero di semi messi a dimora. Secondo altre Sentenze della Suprema Corte, più che lo scarso numero di piante coltivate, ciò che conta, ai fini della valutazione dell’uso individuale, è la scarsità del tenore drogante della marjuana coltivata. Ora, Sezioni Unite Caruso del 2019 ha spostato l’attenzione dell’interprete sul nuovo requisito delle “modalità rudimentali” della coltura e ciò genera non poche aporie esegetiche, poiché la Giurisprudenza pregressa insisteva quasi solamente sulle variabili della qualità e della quantità del THC o del CBD ricavabile.

Esisteva pure, prima di Sezioni Unite Caruso del 2019, un orientamento ermeneutico a norma del quale veniva presunta “ad uso personale” una partita di cannabis la quale soddisfaceva, ex art. 131 c.p., il parametro della “particolare tenuità del fatto”. In effetti, per il vero, Sezioni Unite Caruso del 2019 presenta numerosi profili di affinità con l’art. 131 bis c.p., precettivo, anche o soprattutto, nella fattispecie della cura “rudimentale” di uno scarso numero di piante, ove il lemma “scarso” indica fra i tre o i tredici arbusti di canapa.

P.e., Cass., sez. pen. IV, 10 maggio 2017, n. 27524 qualifica come “scarso”, ex art. 131 bis c.p., il numero di 5 piantine di marjuana, per un totale di 92 grammi di sostanza ricavabile, con un tenore di THC pari solamente al 3,66%. Analogamente, Cass., sez. pen. IV, 10 maggio 2017, n. 30238 ha applicato l’art. 131 bis c.p. a 13 arbusti di marjuana “rudimentalmente coltivata”. A contrario, ma sempre nel nome della ratio dello “scarso numero”, Cass., sez. pen. VI, 9 novembre 2016, n. 51615 ha negato l’esclusione della punibilità a fronte di una piantagione di 26 vasi di canapa. Viceversa, è considerato “scarso“ un numero tra 1 e 9 piantine in Cassazione, sez. pen. IV, 21 maggio 2019, in Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 11/10/2018 ed in Cass., sezione feriale, 4 settembre 2015. Da tali Precedenti, anche di merito, si evince che l’art. 131 bis c.p. è applicabile nelle fattispecie sino a 10 piantine circa, purché coltivate “in maniera rudimentale”, come disposto dalle Sezioni Unite Caruso del 2019.

Tale unione precettiva tra l’art. 131 bis c.p., la “rudimentalità” della coltivazione e lo “scarso numero” di arbusti ha rinvenuto applicazione in Cass., sez. pen. VI, 12 gennaio 2021, n. 5626, ovverosia “non integra il reato [ex Art. 73 TU 309/90], per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali ed uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto”. Per la precisione, Cass., sez. pen. VI, 12 gennaio 2021, n. 5626 ha applicato le Sezioni Unite Caruso del 2019 a fronte della coltivazione “non professionale” di 2 piante, per un totale di 47 dosi riservate esclusivamente all’uso personale. Parimenti, in Cass., sez. pen. VI, 5 novembre 2020, n. 6599, alla luce dell’art. 131 bis c.p., “integra una coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di 11 piantine di marjuana, collocate in vasi all’interno di un’abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti [professionali] come impianti di irrigazione e/o di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione. [Queste 11 piantine], in relazione al grado di sviluppo raggiunto, avrebbero consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanza stupefacente, ragionevolmente destinata all’uso personale dell’imputato”.

Oppure ancora, anche Tribunale di Nola, 20/01/2022 ha reputato “non punibile”, ex art. 131 bis c.p., un totale “scarso” di 11 piantine di marjuana “domesticamente coltivate”, aventi un lieve tenore drogante e destinate all’uso personale. Pure Cass., sez. pen. IV, 5 aprile 2022, n. 14941 unisce la “non punibilità del fatto lieve” ai parametri catalogati in Sezioni Unite Caruso 2019, con un particolare riferimento al numero bagatellare di marjuana piantata.

Da notare è anche Cassazione, 30/11/2021, n. 2099, la quale nega l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto qualora sia “scarso” il numero di piante, ma “professionale” la modalità della coltura. Del pari, Cass., sez. pen. IV, 19 aprile 2022, n. 20130 richiede, per la precettività dell’art. 131 bis c.p., la compresenza di tutti i parametri di cui alle Sezioni Unite Caruso del 2019. Qualora sussistano elementi che lasciano presumere un’attività di spaccio, non si può ipostatizzare la rudimentalità della coltivazione o la scarsità dei germogli messi in vaso. Cass., sez. pen. IV, 19 aprile 2022, n. 20130 invita, infatti, nelle Motivazioni, ad una “valutazione complessiva dei parametri”; dunque, Sezioni Unite Caruso del 2019, unitamente all’art. 131 bis c.p., vanno calati nel contesto specifico della singola e concreta fattispecie giudicanda, poiché potrebbe sussistere anche un solo indicatore sintomatico del delitto di spaccio p. e p. ex Art. 73 TU 309/90. P.e., in Cass., sez. pen. VI, 3 novembre 2020, n. 3593, le piante erano solo 11, ma, nello specifico contesto, sussistevano altre circostanze che confermavano il fumus boni juris della coltivazione non ad uso esclusivamente personale. Di nuovo, la Suprema Corte propone (rectius: impone) sempre una ferrea e rigorosa contestualizzazione del caso.

  1. Il parametro del “quantitativo ricavabile” vs. “uso personale” della marjuana coltivata.

Nella consolidata Giurisprudenza della Corte Suprema, è o, comunque, si presume ad uso personale una coltivazione di marjuana dalla quale “sia ricavabile un modestissimo quantitativo di prodotto”.

Il lemma attributivo “modestissimo” va inquadrato entro un preciso range ponderale, per non cadere nella più totale incertezza esegetica. Dunque, un dato ponderale modesto lega quasi automaticamente la coltura alla ratio dell’“uso esclusivamente personale”. Tuttavia, anche in questo caso, molto dipende pure dalla qualità del prodotto finale, in tanto in quanto un dato ponderale minimo potrebbe coniugarsi ad un’elevata concentrazione di principio attivo. Oppure, all’opposto, un dato ponderale ingente potrebbe corrispondere ad un prodotto con un infimo tenore drogante, dunque non tossicologicamente pericoloso.

Dal 2012 al 2022, nella Giurisprudenza di legittimità, si considerano “ad uso personale” soprattutto ed anzitutto i seguenti casi:

  1. 14 dosi medie singole di THC con un tenore drogante pari a 0,363%
  2. 53,1 dosi medie giornaliere contenenti 1,328 grammi di principio attivo
  3. 97 grammi di marjuana/11,71 grammi di haschisch con un principio attivo pari a 1,312 grammi
  4. 39 dosi medie singole di haschisch per un peso lordo di 11,485 grammi

Si tratta di un panorama precettivo assai confuso e cangiante. Talune Sentenze reputano addirittura “non modestissimo” un quantitativo pari o superiore a 2033, o 700, oppure 200 dosi medie giornaliere.

A parere di chi redige, la ratio giurisprudenziale del “quantitativo modestissimo” ad uso personale è inflazionata da miriadi di antinomie logiche e contraddizioni pratiche.

  1. La marjuana “non inserita nel mercato illecito” e l’uso personale.

Sezioni Unite Caruso del 2019 asserisce che l’uso è personale anche “in mancanza di ulteriori indici di un loro [delle attività di coltivazione, ndr] inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti”. Detto in altri termini, l’uso personale non è sussumibile entro il campo precettivo dell’Art. 73 TU 309/90.

Tale variabile dell’assenza di un collegamento con eventuali attività di spaccio dipende dal singolo caso concreto. È compito del Magistrato del merito valutare, di volta in volta, se sussista o meno fumus boni juris circa la sussistenza di un commercio illegale della marjuana coltivata.

In Cass., sez. pen. III, n. 36335 del 2021, il Magistrato ha rilevato la sussistenza dell’art. 73 TU 309/90 a causa dello “stabile inserimento dell’imputato nel mercato degli stupefacenti, comprovato dai suoi frequenti contatti con il fratello […], anch’egli facente parte dello stesso circuito criminale il cui contenuto è stato ritenuto riferibile allo smercio o, comunque, all’approvvigionamento di droga”.

Anche in molti Precedenti, tanto di legittimità quanto di merito, scatta l’applicazione dell’art. 73 TU 309/90 allorquando il coltivatore di marjuana intesse numerosi e stabili contatti, telefonici o personali, con narcotrafficanti o, più semplicemente, con potenziali clienti. Altre volte, in Giurisprudenza, è stato escluso l’utilizzo personale della coltivazione grazie alla testimonianza di clienti abituali del coltivatore di cannabis. Oppure ancora, egualmente fondamentale potrebbe essere quanto riferito alla PG da parte di venditori di semi, nel senso che il contesto ed altri ulteriori dati fattuali recano alla ragionevole esclusione dell’uso meramente personale.

Ognimmodo, la precettività, o meno, dell’art. 73 TU 309/90 dipende dallo specifico contesto. P.e., in Cass., sez. pen. III, n. 30672 del 2021, la “non personalità” dell’uso è stata evinta da “molte circostanze oggettive, quali il quantitativo [troppo ingente] della sostanza stupefacente”. Oppure ancora, in Cass., sez. pen. IV, n. 35667 del 2021, sono state reputate “indici di uno stabile inserimento nel mercato illecito” la disponibilità di armi, la presenza di collaboratori e molte circostanze soggettive, quali la qualifica di forte assuntore, i precedenti penali e la conoscenza da parte del Sert”. Come si può notare, in ogni caso, è fondamentale la “contestualizzazione”, giacché Sezioni Unite Caruso del 2019 non recano un’applicazione automatica od astraente.

Per riassumere, Sezioni Unite Caruso del 2019, ai fini dell’individuazione dell’“uso personale” della coltivazione di marjuana, richiedono la presenza dei seguenti requisiti:

  1. una coltivazione “di minime dimensioni [e] svolta in forma domestica”
  2. l’utilizzo di “tecniche agricole rudimentali”
  3. uno “scarso numero di piante”, fatta, comunque, salva la contestualizzazione della concreta fattispecie giudicanda
  4. un “modestissimo” quantitativo di prodotto ricavabile
  5. la mancanza di “indici di inserimento [della coltivazione] nell’ambito del mercato illecito degli stupefacenti” come p. e p. ex Art. 73 TU 309/90

Due altri parametri, con afferenza all’“uso personale” sono dati, de jure condito, dall’art. 75 TU 309/90, il quale insiste sul “dato ponderale” e sulle “modalità di presentazione della sostanza”.

La ratio del “dato ponderale” vs. “uso personale” non ha più alcun significato certo, in tanto in quanto tutto dipende dal contesto concreto. P.e., un quantitativo ponderalmente ingente potrebbe costituire nient’altro che una legittima provvista destinata al solo uso personale. Oppure, una quantità notevole potrebbe essere connotata da un tenore drogante prossimo allo zero. Oppure ancora, viceversa, un quantitativo di pochi grammi può contenere un livello assai elevato di THC, come nel caso della canapa c.d. “spaccatesta” con effetti allucinogeni tossicologicamente pericolosi. Dunque, la variabile della “quantità” non è sufficiente a tenere separate le sfere applicative degli artt. 73 e 75 TU 309/90. Tuttavia, senza dubbio, un dato ponderale limitato ad una ventina o ad una quarantina di dosi lascia più facilmente presupporre un uso personale, ma, anche in tal caso, molto dipende dalla “scorta” abitualmente detenuta dal tossicomane. Inoltre, maggiore è l’uncinamento dell’assuntore, maggiore sarà pure la “provvista”, nonché la quantità di piantine di marjuana coltivate.

L’art. 75 TU 309/90 coniuga l’uso personale, o meno, alle cc.dd. “modalità di presentazione” dello stupefacente. A loro volta, queste modalità si estrinsecano, sempre nell’art. 75 TU 309/90, in tre parametri:

  1. il peso lordo complessivo
  2. [le modalità di] confezionamento frazionato
  3. “altre” circostanze dell’azione (ossia, ad esempio, gli accorgimenti per occultare la coltivazione, l’approntamento di strumenti per l’essicazione o la disponibilità di luoghi per la custodia)

A parere di molti Dottrinari, i tre summenzionati parametri sono eccessivamente lati e generici. Di nuovo, infatti, necessita un’accurata contestualizzazione. La ratio dell’“uso personale” rimane incerta e non universalmente preventivabile.

  1. La coltivazione domestica non autorizzata di marjuana per finalità terapeutiche.

Per ora, la coltivazione domestica di marjuana per finalità terapeutiche è stata valutata solamente in due Precedenti di merito.

Sentenza GUP Tribunale di Arezzo, 11 dicembre 2020 afferma che, nel caso di specie, la liceità del fine terapeutico è inficiata dalla natura “non rudimentale“ della coltivazione. Ovverosia: “non si può ragionevolmente parlare di costituzione di una riserva per l’uso personale, tenuto conto che il quantitativo di principio attivo di partenza è sicuramente sproporzionato rispetto alle immediate esigenze di un ipotetico consumatore singolo […]. Pur senza mettere in dubbio che l’imputato attingesse alla sostanza prodotta al fine di lenire i propri dolori […] in presenza di una coltivazione di dimensioni non minime, ciò obbliga alla condanna di chi coltiva oltre il proprio stretto uso, perché il reato è di pericolo presunto […]. I quantitativi di cannabis nella serra sono sproporzionati ed esagerati rispetto all’esigenza di un consumo personale [del malato nonché imputato DB] […]. Quello per cui si procede costituisce un fatto di coltivazione che va senz’altro ricompreso nell’area del penalmente rilevante […], atteso che non si tratta affatto di un’attività di minime dimensioni svolta in forma domestica; emerge, piuttosto, un’attività di coltivazione condotta secondo modalità industriose, cioè caratterizzate da laboriosità e da un’operosità costante”.

Diversamente, Tribunale di Arezzo, 27 aprile 2021 reputa che: “va confermata l’offensività in astratto della condotta contestata, riconducibile all’art. 73 TU 309/90; ma va esclusa radicalmente la punibilità per le coltivazioni per uso terapeutico, in quanto tale destinazione impone un’interpretazione totalmente diversa delle norme incriminatrici, pena l’incostituzionalità per conflitto con l’art. 32 Cost. […]. Il fatto non sussiste per prova insufficiente dell’offensività in concreto […]. Non sussiste il fatto di coltivazione di cannabis di cui all’art. 73 TU 309/90 per mancanza di offensività in concreto, allorquando la coltivazione, anche non minima, appaia destinata all’uso personale terapeutico, in quanto non idonea a porre a repentaglio il bene giuridico della salute tutelato dall’art. 32 Cost.”. Come si nota, Tribunale di Arezzo, 27 aprile 2021 reputa aberrante la rilevanza penale dei reati di mero sospetto a pericolosità astratta. Ciononostante, la tematica necessita di ulteriori approfondimenti, soprattutto perché la canapa indiana non presenta le proprietà terapeutiche del CBD contenuto nella cannabis sativa. È, dunque, urgente un intervento chiarificatorio da parte del Legislatore, ammesso e non concesso che THC e CBD rechino veramente apprezzabili proprietà analgesiche ed antispastiche.

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