La “lieve entità” in tema di stupefacenti

Di Andrea Baiguera Altieri -
  1. Lieve entità vs. cessione di droghe a minorenni.

Nella Giurisprudenza di legittimità degli Anni Duemila, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 è applicabile anche in presenza di una cessione di stupefacenti ad infra-18enni, ma, come logico, il coinvolgimento di uno o più minorenni sposta maggiormente la sanzione comminata verso il massimo edittale dei quattro anni di reclusione. Senza dubbio, molto dipende dal singolo caso concreto da valutare; ovverosia, come precisato da Cass., SS.UU., il 24 giugno 2010, il Magistrato del merito è tenuto, come sempre, ad un’ermeneusi contestualizzatoria, in tanto in quanto “l’aggravante della cessione di sostanze stupefacenti a soggetto minore di età è astrattamente compatibile con l’attenuante del fatto di lieve entità, ma è, tuttavia, richiesto che la compatibilità sia verificata in concreto, alla stregua di tutte le circostanze nelle quali la cessione a minore si realizza”.

Assai restrittiva, ai limiti della negazione della compatibilità, risulta Cass., sez. pen. VI, 16 febbraio 2021, n. 14592, nel senso che “quando le cessioni siano destinate anche a soggetti minorenni, ferma restando la [ardua, ndr] compatibilità in astratto, tra le predette ipotesi normative, la severità del giudizio deve essere senz’altro maggiore, in rapporto alla valutazione di tutte le circostanze e modalità dell’azione, oltre che alla quantità e qualità della sostanza stupefacente, onde elementi come la frequenza dello spaccio, le modalità organizzate dell’attività della cessione, ove ricorra l’aggravante citata, rendono, in concreto, più difficile l’inquadramento del fatto nell’ipotesi prevista dal comma 5 art. 73 TU 309/90, anche quando il quantitativo di sostanza detenuto o ceduto non sia particolarmente rilevante“. Come si vede, nel caso della alienazione di droghe ad infra-18enni, Cass., sez. pen. VI, 16 febbraio 2021, n. 14592 dubita fortemente circa la possibilità di invocare la fattispecie del caso lieve, giacché, ex comma 5 art. 73 TU 309/90, “non lievi” sono le “modalità e le circostanze dell’azione”. Ciononostante, molto dipende dalle peculiarità del caso concreto, nel nome di quella “contestualizzazione” che costituisce una delle travi portanti dell’intero procedimento penale nel Diritto italiano. Il singolo “contesto” è e rimane al centro di ogni esegesi giurisprudenziale da parte del Magistrato del merito.

In effetti, numerosi Precedenti della Suprema Corte insistono, quasi in maniera ossessiva, sulla valutazione della “concreta offensività del fatto”, anche quando i protagonisti passivi dello spaccio sono minorenni. È il contesto e solo il contesto a dominare nella concessione, o meno, del comma 5 Art. 73 TU 309/90.

Anche Cass., sez. pen. III, 21 luglio 2020, n. 25044 insiste sulla necessità della ratio della fattualizzazione, in tanto in quanto “essendo necessario procedere ad una valutazione complessiva e comparativa dei [cinque] indici di lieve entità elencati dalla norma [ex comma 5 Art. 73 TU 309/90], va riconosciuta la possibilità che, tra gli stessi, si instaurino rapporti di compensazione e di neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto, anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultino prima facie contraddittorie”. In buona sostanza, Cass., sez. pen. III, 21 luglio 2020, n. 25044 esorta l’interprete a trattare ogni singola vicenda processuale nelle sue specifiche peculiarità criminologiche.

Analogo è pure l’orientamento di Cass., sez. pen. III, 30 settembre 2020, n. 10828, ossia “[in tema di stupefacenti] la valutazione dell’offensività della condotta deve essere frutto di un giudizio complessivo che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva, tenendo conto, in particolare, delle concrete capacità di azione del soggetto e delle sue relazioni con il mercato di riferimento, dell’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, del numero di assuntori riforniti, della rete organizzativa e/o delle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli ed azioni repressive delle forze dell’ordine”. Dunque, per Cass., sez. pen. III, 30 settembre 2020, n. 10828, la cessione di stupefacenti a minorenni è o non è “di lieve entità” a seconda dei singoli aspetti del caso concreto. Non esistono conclusioni a priori od onnicomprensive.

  1. Lieve entità vs. reato continuato.

Dal 1991 al 2013, il comma 5 art. 73 TU 309/90 era reputato, in Giurisprudenza, “non compatibile” con l’aggravante del reato continuato. Ciò alla luce di Cass., SS.UU., n. 9148 del 1991, a norma della quale “l’attenuante [della lieve entità, ora reato autonomo] non è concedibile relativamente allo spaccio esercitato in modo continuativo, attività, questa, cui è attribuibile la diffusione sempre più larga e capillare della droga e, per ciò, di rilevante pericolosità sociale”. Nel solco interpretativo di Cass., SS.UU., n. 9148 del 1991, lo “spaccio continuato” diacronicamente era definito, in molti Precedenti, come “espressione di una personalità incline a delinquere”. Altre simili Sentenze rimarcavano l’antinomia criminologica tra “fatto lieve” e “professionalità” della/nella continuazione del narcotraffico, sintomatico, come asserito più volte, di “una stabile volontà di commettere reati”. Lo spacciatore seriale veniva qualificato alla stregua di un “professionista” della delinquenza “socialmente pericoloso”. In più di una Sentenza, la Cassazione ha parlato, con afferenza all’art. 81 c.p. applicato al TU 309/90, della presenza di “situazioni di salde ed efficienti organizzazioni finalizzate allo spaccio di considerevoli quantitativi di stupefacenti” (vedasi, ad esempio, Cass., SS.UU., n. 9148 del 1991).

Uno spiraglio di tolleranza riduzionistica era stato introdotto solo da Cass., sez. pen. VI, 14 gennaio 1994, n. 3368, a parere della quale “anche lo spaccio continuativo può essere astrattamente definito di lieve entità ove, tenuto conto della quantità e qualità delle sostanze cedute e dell’eventuale sussistenza di altre componenti relative [ex comma 5 Art. 73 TU 309/90] alle modalità ed ai mezzi della condotta […] sia da ritenere che esso abbia inciso in modo ridotto sull’interesse protetto [della salute collettiva ex comma 1 art. 32 Cost.]”.

Analoga eccezione si rinveniva pure in Cass., sez. pen. VI, 17 maggio 1994, n. 6887, la quale reputava “non ragionevole e non proporzionata” la incompatibilità tra il reato continuato e l’ipotesi della lieve entità, soprattutto perché, nella realtà concreta, ogni spacciatore “ordinario” reca un discreto grado di auto-organizzazione professionale e quasi imprenditoriale. Dunque, il menzionato Precedente del 1994 reputava troppo restrittivo l’orientamento ermeneutico inaugurato da Cass., SS.UU., n. 9148 del 1991.

Dopo le novellazioni legislative del biennio 2013/2014, Cass., SS.UU., n. 9148 del 1991 ha cessato di essere predominante, sicché, in epoca attuale, il reato continuato, quindi lo spaccio seriale ed imprenditoriale è reputato perfettamente compatibile con il comma 5 art. 73 TU 309/90. In effetti, pure nella Giurisprudenza del merito, Corte d’Appello di Venezia, Sentenza 05/04/2016 ha reputato non antinomici tra di loro l’art. 81 c.p. ed il comma 5 art. 73 TU 309/90, “quando [rectius: purché, ndr] non risulti una diretta partecipazione ad attività organizzative di rilevante pericolosità”.

Attualmente, la Giurisprudenza di legittimità reputa che la continuazione dello spaccio sia perfettamente compatibile con il delitto di lieve entità ex comma 5 art. 73 TU 309/90. Prevale, dunque e di nuovo, il favor rei, anche qualora il reato continuato sia stato reso possibile da una c.d. “rete di traffico” criminale professionalmente organizzata. P.e., a tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 1 febbraio 2021, n. 9523 statuisce che “non è sufficiente, per escludere la qualificabilità del fatto come di lieve entità (comma 5 Art. 73 TU 309/90) la valorizzazione degli argomenti basati sulla reiterazione degli episodi di cessione di droga e sull’inserimento di tali condotte in una consolidata rete di contatti con fornitori e consumatori. Infatti, […] la mera reiterazione degli episodi di spaccio costituisce situazione in sé del tutto compatibile con la possibilità che ciascuno di quegli episodi, singolarmente considerato, rientri nell’ambito di applicabilità del comma 5 art. 73 TU 309/90. A parere di chi redige, Cass., sez. pen. VI, 1 febbraio 2021, n. 9523 manifesta un’evidente ipertrofia garantistica e fors’anche abolizionistica. In effetti, secondo chi scrive, il reato di spaccio continuato presuppone una “rete organizzativa” che, sotto il profilo della “modalità dell’azione” esclude la lieve entità del fatto. Chi commenta reputa eccessivamente elastica, ai limiti della non ragionevolezza, Cass., sez. pen. VI, 1 febbraio 2021, n. 9523.

Altrettanto poco ragionevole e decisamente iperbolica risulta pure Cass., sez. pen. IV, 5 luglio 1996, n. 7366, la quale, nel delitto p. e p. ex art. 586 c.p., non esclude l’applicabilità del “fatto lieve”, nonostante, nel caso giudicato, fosse presente una reiterazione dello spaccio assai ben organizzata. A parere di chi commenta, un conto è contestualizzare, un altro conto è negare l’inapplicabilità del comma 5 art. 73 TU 309/90 anche in situazioni nelle quali la continuazione dello spaccio sia palesemente ed intrinsecamente “non lieve”.

Negli ultimi anni, la Suprema Corte sta sottovalutando eccessivamente la pericolosità socio-sanitaria della continuazione dello spaccio, poiché è e rimane più che evidente la grave anti-giuridicità della cessione di stupefacenti reiterata in maniera professionale ed imprenditoriale. È abnorme negare che la serialità incida negativamente sul parametro delle “modalità dell’azione” ex comma 5 art. 73 TU 309/90. Lo spaccio organizzato non è mai “lieve” sotto il profilo ontologico prima ancora che criminologico.

Viceversa, è pienamente condivisibile la compatibilità tra fatto lieve e spaccio sì continuato, ma attenuato dal conseguimento di un lucro di speciale tenuità. In proposito, si veda Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2021, n. 42119, a parere della quale “l’attenuante comune [ex n. 4 art. 62 c.p.] del conseguimento di un lucro di speciale tenuità è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti e compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità previsto dal comma 5 art. 73 TU 309/90“. Altrettanto proporzionata e calibrata è la precisazione contenuta in Cass., sez. pen. VI, 16 maggio 2017, n. 31603, ossia “la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui al n. 4 art. 62 c.p. è applicabile al reato continuato di cessione di sostanze stupefacenti solo qualora la condotta, nel suo complesso, denoti una finalità di lucro marginale e ciascun episodio di cessione comporti un evento dannoso o pericoloso di speciale tenuità”. Dunque, senz’altro, l’art. 586 c.p., in un contesto di continuazione del reato, non comporta “un evento dannoso o pericoloso di speciale tenuità”, il che invita a riflettere sul menzionato lassismo ipergarantista della già citata Sentenza contenuta in Cass., sez. pen. IV, 5 luglio 1996, n. 7366.

  1. Lieve entità vs. organizzazione professionale dello spaccio.

Senza dubbio, il grande narcotraffico internazionale si avvale di una rete organizzativa ben articolata. Tuttavia, nel comma 5 art. 73 TU 309/90, la “lieve entità” è o non è riferita al piccolo spaccio di quartiere, in tanto in quanto il grande commercio transnazionale di droghe reca un’organizzazione talmente “professionalizzata” da escludere completamente la precettività del “fatto lieve”. D’altra parte, al narcotraffico è appositamente riservato il comma 6 art. 74 TU 309/90 (“se l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73, si applicano il primo ed il secondo comma dell’art. 416 c.p.”).

Salvo, dunque, il caso particolare dello spaccio internazionale, di solito, lo spaccio “di quartiere”, benché caratterizzato da una c.d. “rilevante rete di contatti”, è compatibile, in Giurisprudenza, con l’ipotesi della “lieve entità”. Prova ne è Cass., sez. pen. VI, 1 febbraio 2021, n. 9523, secondo la quale “non è sufficiente, per escludere la qualificabilità del fatto come di lieve entità (comma 5 art. 73 TU 309/90), la valorizzazione degli argomenti basati sulla reiterazione degli episodi di cessione di droga e sull’inserimento di tali condotte in una consolidata rete di contatti con fornitori e consumatori […]. Anche il riferimento alla rete di contatti non offre in sé elementi decisivi per escludere che tale rete afferisca comunque a fatti di lieve entità, dovendosi considerare, invece, altri fattori, quali l’entità dei valori ponderali delle sostanze cedute agli acquirenti, nonché l’ammontare degli importi monetari movimentati dal traffico illecito”. Dunque, la testé menzionata Cass., sez. pen. VI, 1 febbraio 2021, n. 9523 afferma che il nodo centrale della problematica non è la “rete organizzativa”, la quale è sempre e necessariamente presente, bensì “la concreta capacità di azione del soggetto”, capacità di azione che può, comunque, risultare “di lieve entità” anche se lo spaccio si avvale di un certo grado di organizzazione semi-imprenditoriale. L’essenziale, a prescindere dalla professionalità della rete organizzativa, è che i cinque parametri di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90 rimangano tutti “lievi” nella loro offensività finale.

A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 30 giugno 2021, n. 37077 conferma che “non può essere esclusa la sussistenza della fattispecie della lieve entità del fatto di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90 sulla base della sola considerazione della reiterazione dell’attività di spaccio […]”. Oppure ancora, si veda anche Cass., sez. pen. VI, 20 febbraio 2018, n. 13982, a parere della quale “il dato numerico dei clienti e l’intensità dell’attività di spaccio non è in astratto incompatibile con l’invocata riqualificazione nell’ipotesi del comma 5 art. 73 TU 309/90, come anche l’esistenza di una rudimentale organizzazione basata sulla ripartizione dei ruoli tra gli imputati”. Ecco, di nuovo, in Cass., sez. pen. VI, 20 febbraio 2018, n. 13982, l’invito alla “contestualizzazione” del fatto concreto da parte del Magistrato del merito. In effetti, sempre Cass., sez. pen. VI, 30 giugno 2021, n. 37077 ripete che “è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione di un programma criminoso tendenzialmente stabile e duraturo nel tempo”.

La ratio di tutti i Precedenti or ora riportati rimane quella della “contestualizzazione”. Mezzi, modalità, circostanze dell’azione, quantità e qualità delle sostanze vanno costantemente ed instancabilmente calati all’interno della concreta fattispecie processuale giudicanda, poiché non esistono soluzioni interpretative precostituite od onnicomprensive. Ogni caso manifesta le proprie, singole particolarità, che consentiranno, o meno, l’applicazione del comma 5 art. 73 TU 309/90.

Ciononostante, in presenza di una vera e propria associazione per delinquere ex art. 416 c.p., la “lieve entità“ va da subito esclusa, come dimostra Tribunale di Cassino, Sentenza 27/01/2022, n. 1551: “non può ritenersi di lieve entità il reato compiuto nel quadro della gestione di una piazza di spaccio connotata da un’articolata organizzazione di supporto e difesa e che assicura, attraverso l’accertata reiterazione delle condotte di spaccio, uno stabile commercio di stupefacenti, di tipologie [qualitativamente] differenziate, pur se in quantitativi non rilevanti”. Dunque, Tribunale di Cassino, Sentenza 27/01/2022, n. 1551 distingue, ai fini della precettività del “caso lieve”, tra organizzazione sufficientemente professionale ed associazione per delinquere assai elevatamente imprenditoriale.

Analoga è pure Tribunale di Lecce, sez. I, 25/01/2022, n. 192, ovverosia “non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione [altamente professionale] di una piazza di spaccio […] giacché […] tale condotta, in quanto posta in essere nell’ambito di un’articolata organizzazione di supporto, è indice di una comprovata capacità dell’autore di assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente”. Come si può notare, pure Tribunale di Lecce, sez. I, 25/01/2022, n. 192 predica l’incompatibilità tra l’art. 416 c.p. ed il comma 5 art. 73 TU 309/90, poiché un’associazione per delinquere non può recare, sotto il profilo ontologico, i cinque requisiti richiesti de jure condito per il “fatto lieve”.

Eccezionalmente, nella Giurisprudenza di legittimità, si concede il comma 5 art. 73 TU 309/90 all’associato per delinquere, ex comma 416 c.p., a condizione che il suo ruolo, nell’associazione, sia “marginale”, quindi “lieve”. P.e., entro tale solco esegetico, Cass., sez. pen. III, 6 febbraio 2020, n. 13115 sostiene che “in tema di continuazione tra reati in materia di stupefacenti, […] [bisogna] valorizzare le peculiarità delle singole condotte [di ciascun correo], la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni, al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea ad escludere [o meno, ndr] un giudizio di lieve entità rispetto ai fatti contestati”. In Cass., sez. pen. III, 6 febbraio 2020, n. 13115 è interessante, ancora una volta, notare la perenne centralità della contestualizzazione “nel concreto” del comma 5 art. 73 TU 309/90. A prescindere, infatti, dai massimi sistemi e da dichiarazioni di principio, la lieve entità è o non è precettiva a seconda delle peculiarità fattuali di ciascuna situazione giudicanda concreta. Il Magistrato del merito è tenuto a contestualizzare, e non ad utilizzare frettolose griglie ermeneutiche precostituite o presunte come universali.

  1. Lieve entità vs. art. 131 bis c.p. (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto).

In linea teorica, il fatto di lieve entità ex comma 5 art. 73 TU 309/90 è sussumibile entro il campo precettivo dell’art. 131 bis c.p., essendo il massimo edittale della pena, nel “caso lieve”, di “soli” quattro anni di reclusione. Anche sotto il profilo semantico, i lemmi “lieve entità” ex comma 5 art. 73 TU 309/90 richiamano da vicino quelli di “particolare tenuità” ex art. 131 bis c.p. D’altra parte, in Giurisprudenza, molti Precedenti, dal 2015 ad oggi, hanno asserito la non-antinomicità delle due norme, poiché il comma 5 art. 73 TU 309/90 utilizza i cinque parametri dei mezzi, modalità, circostanze, quantità e qualità, mentre l’art. 131 bis c.p. si focalizza su modalità della condotta, grado di colpevolezza ex art. 133 c.p., entità del danno o del pericolo e carattere non abituale della condotta. Quindi, i riguardi sono ben distinti.

Cass., sez. pen. III, 28 maggio 2019, n. 36447 si dichiara apertamente favorevole alla simultanea applicazione tanto del comma 5 art. 73 TU 309/90 quanto dell’art. 131 bis c.p., giacché “il dato quantitativo della sostanza stupefacente [se è lieve], già considerato per la qualificazione del reato ai sensi del comma 5 art. 73 TU 309/90, può essere considerato anche ai fini dell’applicazione della causa di esclusione della punibilità [ex art. 131 bis c.p.], atteso che costituisce principio consolidato che il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine ad influire su diversi aspetti della sua valutazione, ben potendo [senza creare antinomie] un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini, senza che ciò comporti la lesione del principio del ne bis in idem”.

Tuttavia, la distinzione dei riguardi può provocare l’applicabilità del comma 5 art. 73 TU 309/90 ancorché non dell’art. 131 bis c.p.

P.e., in Cass., sez. pen. IV, 15 luglio 2016, n. 48758 (confermata successivamente da Cass., sez. pen. III, 16 aprile 2021, n. 18155) si afferma che “la fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre, ai fini della concedibilità della prima, il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità [ex art. 131 bis c.p.] devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l’entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere non abituale della condotta“. Si noti che pure i due summenzionati Precedenti del 2016 e del 2021 non provocano antinomie, in tanto in quanto i riguardi sono distinti, poiché i parametri di valutazione sono diversi.

Naturalmente e, anzi, codicisticamente, lo spacciatore non può beneficiare dell’art. 131 bis c.p. quando il comportamento è abituale; tale è il caso della maggior parte degli spacciatori di quartiere, quasi sempre pluripregiudicati per fatti connessi alle disposizioni penali del TU 309/90. De jure condito, ex comma 4 art. 131 bis c.p. “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

Ciò premesso, quindi, il reo di spaccio può ben beneficiare dell’art. 131 bis c.p. qualora i propri precedenti non siano legati alle disposizioni penali in tema di stupefacenti.

P.e., in Cass., sez. pen. IV, 4 maggio 2017, n. 27323, l’imputato spacciatore, benché pregiudicato, ha beneficiato dell’art. 131 bis c.p., in tanto in quanto le pregresse condanne riguardavano reati contro il patrimonio, dunque di indole diversa dal reato p. e p. ex comma 1 art. 73 TU 309/90.

Oppure ancora, in Cass., sez. pen. III, 24 luglio 2017, n. 36616, la Suprema Corte ha ritenuto non influente, sull’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., il fatto che il reo avesse ricevuto svariate e pregresse denunzie poi non sfociate in una o più condanne passate in giudicato.

Assai interessante è pure Cass., sez. pen. IV, 10 maggio 2017, n. 30238, in cui la coltivazione di canapa per uso personale è stata sussunta entro il campo precettivo dell’art. 131 bis c.p. anziché del comma 5 art. 73 TU 309/90, dato che “la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. non è incompatibile con il delitto di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e psicotrope, quando, sulla base di una valutazione in concreto dei quantitativi ricavabili, delle caratteristiche della coltivazione, della destinazione del prodotto, e, più in generale, sulla base dei principi soggettivi e oggettivi ricavabili dall’art. 133 c.p., la condotta illecita sia sussumibile nel paradigma della particolare tenuità dell’offesa”.

Simile è pure Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348, Caruso, in cui la coltivazione bagatellare di stupefacenti è indifferentemente qualificata ai sensi del comma 5 Art. 73 TU 309/90, oppure ex art. 131 bis c.p. Cambiano soltanto i parametri valutativi.

Viceversa, Cass., sez. pen. V, 14 ottobre 2019, n. 3242 esclude dal perimetro precettivo dell’art. 131 bis c.p. la cessione di droghe a minorenni, in tanto in quanto, per tale reato, il massimo edittale della pena supera i cinque anni di reclusione.

  1. Lieve entità vs. attenuante del lucro di speciale tenuità (n. 4 art. 62 c.p.).

Secondo un primo filone esegetico della Suprema Corte, esiste incompatibilità tra comma 5 art. 73 TU 309/90 e n. 4 art. 62 c.p., in tanto in quanto il “lucro di speciale tenuità” altro non è che una “circostanza dell’azione”; dunque, s’ha da evitare una ridondanza precettiva.

Secondo un secondo orientamento ermeneutico, per il vero minoritario, esiste compatibilità, giacché, come osservato da Cass., sez. pen. VI, 18 gennaio 2011, n. 20937, “il n. 4 art. 62 c.p. è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, posto che questa [il comma 5 art. 73 TU 309/90] si riferisce all’azione ed all’oggetto materiale del reato, globalmente ed unitariamente vagliati, mentre la seconda [il n. 4 art. 62 c.p.] attiene unicamente al lucro ed all’evento dannoso o pericoloso che siano connotati da speciale tenuità”.

Questo panorama interpretativo è mutato radicalmente da quando il DL 146/2013 ha reso il comma 5 art. 73 TU 309/90 fattispecie autonoma di reato, anziché semplice circostanza attenuante. Il nuovo corso giurisprudenziale è stato inaugurato da Cass., sez. pen. VI, 24 novembre 2016, n. 5812, ovverosia: “la trasformazione dell’attenuante speciale prevista dal testo originario del comma 5 art. 73 TU 309/90 in autonoma fattispecie di reato, operata dal DL 146/2013, convertito, con modifiche, dalla L. 10/2014, fa sì che a tale autonoma fattispecie delittuosa corrisponda ora una specifica cornice edittale. Deve, pertanto, escludersi che [il n. 4 art. 62 c.p.], che è un’attenuante comune, destinata ad incidere sull’ordinario trattamento punitivo riservato a quelle condotte, possa determinare un’indebita duplicazione di benefici sanzionatori. E ciò è tanto più vero in quanto quell’attenuante richiede, per la sua applicazione, l’esistenza di un elemento ulteriore rispetto alla tenuità dell’offesa (comune alle due norme considerate) e come tale specializzante rispetto al fatto lieve di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90. Elemento consistente nell’essere il delitto determinato da motivi di lucro e nell’avere l’agente perseguito o effettivamente conseguito un lucro di speciale tenuità”. Dunque, nel nuovo orientamento giurisprudenziale, il n. 4 art. 62 c.p. altro non è che una circostanza attenuante normalmente, perfettamente e pacificamente applicabile al reato p. e p. ex comma 5 art. 73 TU 309/90. Non sussiste, pertanto, alcun pleonasmo logico.

Questo filone esegetico è stato condiviso pure da Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2017, n. 24533, Cass., sez. pen. VI, 23 giugno 2017, n. 36868, Cass., sez. pen. VI, 31 gennaio 2018, n. 11363, Cass., sez. pen. IV, 15 gennaio 2019, n. 5031, Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2019, n. 38381 nonché da Cass., sez. pen. II, 1 ottobre 2019, n. 51174.

Viceversa, proseguono nel negare la compatibilità tra le due norme qui in parola: Cass., sez. pen.  I, 26 giugno 2013, n. 36408, Cass., sez. pen. III, 10 ottobre 2017, n. 46447, Cass., sez. pen. IV, 16 aprile 2019, n. 32513 e Cass., sez. pen. III, 9 aprile 2019, n. 36371.

Salvifico è stato l’intervento, ex comma 1 art. 618 C.p.p., di Cass., SS.UU., 30 gennaio 2020, n. 24990, a parere della quale “dopo la riforma, non vi è cumulo di benefici sanzionatori tra loro concorrenti […]. È fondato il rilievo […] secondo il quale la trasformazione dell’attenuante speciale originariamente prevista dal comma 5 art. 73 TU 309/90 in ipotesi di reato autonomo, come tale dotata di una specifica cornice edittale, fa sì che l’attenuante [di cui al n. 4 art. 62 c.p.] sia ormai destinata ad incidere sull’ordinario trattamento punitivo riservato alle condotte [di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90], sicché, in tal caso, non si verifica, come paventato dall’opposto indirizzo interpretativo, alcun cumulo di benefici sanzionatori tra di loro concorrenti“. Ecco, di nuovo, la proposta, da parte di Cass., SS.UU., 30 gennaio 2020, n. 24990, di applicare, in tutta semplicità, il n. 4 art. 62 c.p. al reato autonomo della lieve entità, senza che si verifichi alcuna violazione del ne bis in idem.

Cass., SS.UU., 30 gennaio 2020, n. 24990 prosegue specificando che “mentre la valutazione della lieve entità del fatto è relativa alla condotta –avuto riguardo ai mezzi, alle modalità ed alle circostanze dell’azione– ed all’oggetto materiale del reato –in relazione alla quantità e qualità delle sostanze– la verifica della speciale tenuità rilevante per il riconoscimento dell’attenuante di cui al n. 4 art. 62 c.p. attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) ed all’evento (dannoso o pericoloso) del reato. Si tratta, quindi, […] di valutazioni focalizzate su elementi tra di loro ontologicamente distinti, ancorché in astratto suscettibili di convergere nell’accertamento del complessivo disvalore del fatto storico […] Si tratta, inoltre, in ogni caso, di valutazioni di diversa natura e di diverso grado”.

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