La marjuana: problemi e prospettive giuridiche

Di Andrea Baiguera Altieri -

1. Il CBD nel DM 01/10/2020.

Nel bene o nel male, consta che il CBD, presente in abbondanza nella cannabis light, non è una sostanza contemplata dalle tabelle allegate al TU 309/90; dunque, il predetto cannabidiolo, ai sensi di legge, non è “sostanza stupefacente o psicotropa”. A tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 25 febbraio 2021, n. 10012 (assai simile a Cass., sez. pen. IV, n. 18371/2021) afferma: “occorre considerare che il CBD […] è un componente chimico della cannabis che pacificamente non ha effetti stupefacenti [bensì terapeutici, ndr], a differenza del THC”.

Diverso è il parere del DM 01/10/2020, emesso dal Ministero della salute ai fini dell’”aggiornamento delle tabelle contenenti l’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui al DPR 309/90”. In tale atto normativo ministeriale “si dispone l’inserimento nella tabella dei medicinali, sezione B, delle composizioni per somministrazioni ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis”. Dunque, essendo catalogato nella tabella V, sezione B, il cannabidiolo, ai sensi del DM 01/10/2020, è, ope legis, un “farmaco a base di sostanze attive stupefacenti di corrente impiego terapeutico”. Più precisamente, ex sezione B tabella V, il CBD è normativamente qualificato come “medicinale di origine vegetale a base di cannabis”; ovverosia, esso è annoverato tra le “sostanze e preparazioni vegetali (inclusi estratti e tinture) con relativo regime di fornitura con ricetta non ripetibile”. Senz’altro, l’incasellamento nella tabella V sezione B esclude il cannabidiolo, dunque anche la marjuana light dalla categoria dei preparati illeciti ad uso meramente tossicovoluttuario.

Molto utili, sotto il profilo della ratio, sono pure i Lavori Preparatori del DM 01/10/2020, i quali precisano che “è ormai prossimo l’inserimento [nella tabella V del TU 309/90] di un medicinale contenente cannabidiolo, già autorizzato dall’Agenzia europea del farmaco, per un uso compassionevole […]. Attualmente è in corso di valutazione, presso l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) una richiesta di autorizzazione all’avvio della commercializzazione di un medicinale, in soluzione orale, contenente cannabidiolo, che ha già ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio centralizzata da parte dell’European Medicines Agency (EMA) […]. [Tale medicinale] è controllato attraverso un programma di uso compassionevole notificato all’AIFA per i pazienti in trattamento con sindrome di Dravet e sindrome di Lennox-Gastaut”.

Come prevedibile, innumerevoli sono state le critiche che hanno investito, da subito, il DM 01/10/2020. P.e., Federcanapa ed EIHA (Associazione europea della canapa industriale) hanno contestato, innanzi al TAR del Lazio, che “[il DM 01/10/2020] è in palese contrasto con la normativa comunitaria, [perché non va mai dimenticata] la netta distinzione che sussiste tra canapa industriale/prodotto agricolo e canapa stupefacente”. Anzi, in maniera drastica, il Ministero della salute, con DM 28/10/2020, ha disposto che “l’inserimento [del CBD] nella citata sezione [V-B TU 309/90] è questione che necessita di ulteriori approfondimenti di natura tecnico-scientifica, che vengono richiesti all’Istituto superiore di sanità ed al Consiglio superiore di sanità, procedendo, nelle more del pronunciamento, alla sospensione dell’entrata in vigore del DM 01/10/2020”. Chi redige, pur essendo proibizionista, dissente dai toni esasperati del DM 28/10/2020. Un conto è l’abuso tossicovoluttuario di sostanze, un altro conto è il loro impiego terapeutico. Non si comprende perché escludere il CBD dalla tabella V sezione B del TU 309/90. L’uso medico non va demonizzato. Probabilmente, il timore del DM 28/10/2020 è quello di veder dilatato a sproposito il concetto penalistico di “uso personale” ex art. 75 TU 309/90. Forse, sussiste il rischio di mode terapeutiche “fai da te”, completamente sottratte al controllo di personale sanitario.

2. La cannabis light e le categorie di farmaco, droga e/o preparato erboristico.

Inserire il CBD nella tabella V-B significa qualificarlo, de jure condito, come un farmaco analgesico, tranquillante ed antinfiammatorio. Per conseguenza, la marjuana light, che contiene cannabidiolo, è/sarebbe vendibile, dietro presentazione di ricetta medica, soltanto nelle farmacie e non più nei canapai o nei coffee shop. A complicare ulteriormente il panorama, è giunta pure Corte EDU, 19 novembre 2020, n. 141, la quale ha inteso legalizzare il CBD, disponendone la vendita libera, non soltanto nelle farmacie. In terzo luogo, la Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti ha disposto, con recente novellazione, la non-necessità di controlli pubblici qualora la canapa coltivata contenga CBD ed abbia, viceversa, un tenore infimo di THC. Quindi, la liceità della coltivazione della marjuana light presuppone l’altrettanto libera liceità della relativa vendita senza alcuna restrizione. Ciononostante, nella realtà concreta, la legislazione e la prassi giudiziaria italiane collocano il cannabidiolo entro una complessa e, soprattutto, ambigua zona grigia.

P.e., Cass., sez. pen. IV, 12 maggio 2021, n. 18371 riprende il tendenziale proibizionismo di Sezioni Unite Castignani del 2019, ovverosia “la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L, quali foglie, infiorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’Art. 73 TU 309/90, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività [verso la salute collettiva ex comma 1 art. 32 Cost., ndr] […]. La finalità della coltivazione dev’essere funzionale esclusivamente alla produzione di fibre o alla realizzazione di usi industriali diversi da quelli relativi alla produzione di sostanze stupefacenti”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 12 maggio 2021, n. 18371 mortifica lo slancio antiproibizionista del DM 01/10/2020, pur se la panoramica rimane tutt’altro che nitida.

Oppure ancora, nel 2020, si è tentato di sussumere la marjuana light all’interno del campo precettivo dell’erboristeria. Infatti, in attuazione del DLVO 75/2018, il Ministero delle politiche agricole, con DM 23/07/2020, ha inserito la canapa sativa L tra le “piante officinali”; pertanto, per fini erboristici, “è consentito l’uso estrattivo dell’infiorescenza della canapa. In realtà, nella Giurisprudenza della Cassazione, tale DM 23/07/2020 è incorso in un totale sfavore applicativo.

Sempre in tema di CBD, il Ministero delle politiche agricole si è manifestato decisamente antiproibizionista pure nella Circolare 22/05/2018, la quale dispone che “le infiorescenze della canapa, pur non essendo citate espressamente dalla L. 242/2016, né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, devono ritenersi rientrare nell’ambito dell’Art. 2 comma 2 lett. g), ossia nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo”.

Tutto ciò premesso, sotto il profilo pratico, continua a predominare, provvidenzialmente, una Giurisprudenza nettamente proibizionistica. Infatti, con vigore tradizionalista, Cass., sez. pen. IV, 29 aprile 2021, n. 18371 rimarca che “il DM 23/07/2020, sia pure attuativo di atto avente forza di legge (DLVO 75/2018 [in tema di preparati erboristici, ndr]) non contiene una disposizione idonea, per il suo contenuto, ad abrogare parzialmente la norma penale [ex art. 73 TU 309/90], in quanto si limita a menzionare la canapa sativa e la sua infiorescenza destinata ad usi estrattivi tra le piante officinali; in relazione, peraltro, alle attività di coltivazione, raccolta e prima trasformazione a scopo medicinale o per la produzione di sostanze vegetali. Permane, con evidenza, [ex art. 73 TU 309/90] la rilevanza penale dell’attività di vendita sul libero mercato di estratti dalle infiorescenze di canapa sativa L [fumabili] destinati al consumo ed aventi effetti droganti [come il THC]”. A parere di chi scrive, Cass., sez. pen. IV, 29 aprile 2021, n. 18371 impedisce di aggirare l’art. 73 TU 309/90 con il pretesto dell’impiego erboristico. Tuttavia, questa Sentenza del 2021 lascia invariate le lacune in tema di CBD e di marjuana leggera.

Foriera di ulteriore confusione è stata pure la libertaria Sentenza di Corte EDU, 19 novembre 2020, n. 141, la quale ha stabilito che “il CBD non può essere considerato una sostanza narcotica […] i prodotti [quindi] del CBD possono godere della stessa libertà di circolazione degli altri prodotti legali tra gli Stati membri […]. Gli artt. 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del cannabidiolo legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora esso sia estratto dalla pianta di cannabis sativa […] a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione della tutela della salute pubblica [ex comma 1 art. 32 Cost., nel caso dell’Italia] e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento”. Dunque, come si nota, Corte EDU, 19 novembre 2020, n. 141 esalta le proprietà terapeutiche del CBD. Anzi, la Sentenza comunitaria qui in parola precisa che il CBD è un “medicinale” e non un “prodotto agricolo” sottoposto alle ordinarie regolamentazioni in materia agro-alimentare ex Reg. (UE) 1307/2013 e Reg. (UE) 1308/2013. Di più, Corte EDU, 19 novembre 2020, n. 141 puntualizza che, in ogni caso, il CBD “non è considerato uno stupefacente [nemmeno] dalle convenzioni internazionali di cui gli Stati membri dell’UE sono parti”. Quindi, Corte EDU manifesta un deciso favor precettivo nei confronti del cannabidiolo e, per conseguenza, pure nei confronti della marjuana light ad uso analgesico, antidolorifico, antinfiammatorio e tranquillante. A parere di chi commenta, ognimmodo, siffatte proprietà medicali del CBD debbono essere, ancora e prudentemente, verificate nel lungo periodo. Mancano, in effetti, Studi metodici ed approfonditi da parte della tossicologia forense.

Più proibizionista, tuttavia, è Cass., sez. pen. IV, 10012/2021, la quale reputa che Corte EDU, 19 novembre 2020, n. 141 non diminuisce la portata precettiva dell’art. 73 TU 309/90 “e consente la persistenza [nel TU 309/90] dei divieti finalizzati alla tutela della salute pubblica, bene protetto dalla normativa in materia di stupefacenti [ex comma 1 art. 32 Cost.]”. Analogo è il parere di Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348, Caruso.

Sempre in tema di tentata “trasformazione” del CBD in prodotto erboristico, si deve segnalare che il Ministero delle politiche agricole, con DM 21/01/2022, ha allestito l’”Elenco delle specie di piante officinali coltivabili ed i criteri di raccolta e prima trasformazione delle specie di piante officinali spontanee”. Ora, in maniera decisamente proibizionistica, il predetto DM 21/01/2022 ha smorzato gli entusiasmi dei legalizzatori ed ha ripristinato il primato dell’art. 73 TU 309/90, ovverosia “la coltivazione delle piante di cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o sostanze attive ad uso medicinale [tra cui il CBD] è disciplinata dal DPR 309/90, che ne vieta la coltivazione senza la prescritta autorizzazione da parte del Ministero della salute” (comma 4 art. 1 DM 21/01/2022). Ciononostante, sempre con afferenza al DM 21/01/2022, le Sezioni Unite hanno più volte sottolineato che, in ogni caso, la varietà di canapa coltivabile con autorizzazione ministeriale deve appartenere ad una delle 62 tipologie contemplate dal Catalogo europeo; altre varietà non sono mai coltivabili, pena l’attivazione delle sanzioni penalmente rilevanti ex art. 73 TU 309/90. In secondo luogo, si tenga presente pure che la pianta di canapa legalmente coltivata può contenere CBD a volontà, ma deve avere un tenore di THC compreso tra lo 0,2 e lo 0,6 %.

3. La c.d. “super-marjuana”.

La supermarjuana, nella Dottrina e nella Giurisprudenza italiane, è la canapa ad uso tossicovoluttuario munita di un tenore di THC illegale, ovverosia superiore allo 0,6 %. In effetti, esistono varianti con un THC sino al 37 % e ciò reca ad una canapa con effetti non “leggeri”, bensì simili a quelli dell’oppio e della foglia di coca.

Nell’ormai lontano 1990, il primigenio TU 309/90 era modulato per contrastare lo spaccio di canapa al 2% di concentrazione di THC, ma, in epoca attuale, il tenore drogante si è molto innalzato, a causa della diffusione di sementi non tradizionali e, soprattutto, coltivate con modalità indoor. La Relazione Europea sulla droga del 2020, reperibile online, riferisce che “le analisi sui sequestri hanno dimostrato che la quantità di principio attivo può essere da 4 a 28 volte superiore rispetto ad anni fa […]. La potenza media della cannabis sequestrata in Europa è del 9-12%. È proprio la pianta di cannabis ad essere stata potenziata, con incroci e particolari tecniche di coltivazione. Il nuovo fenomeno sottopone le tradizionali teorie sulle droghe leggere ad un severo riesame, nel tentativo di effettuare una riclassificazione”. Anche chi redige ha da sempre contestato i lemmi “droga leggera” impiegati per descrivere i cannabinoidi. D’altra parte, verso la fine degli Anni Ottanta del Novecento, la c.d. “teoria del 16%” aveva messo in crisi la tradizionale distinzione tra droghe pesanti e droghe cc.dd. “leggere”, in tanto in quanto una cannabis con un THC al 16 % reca effetti psicofisici devastanti già nel breve periodo. Sono oggi molti i medici legali che connettono la supermarjuana a psicosi, schizofrenia e, anzitutto, incidenti stradali.

Dalle analisi tossicologiche della PG, negli Anni Duemila, è emerso che la marjuana in circolazione in Italia reca una concentrazione media di THC quasi mai inferiore al 9 %. Analoga osservazione vale per l’haschisch. Viceversa, la cannabis contemporanea contiene meno CBD. Secondo The Lancet, le varianti dello “skunk” e della “sensimilla” possiedono un valore medio di THC intorno al 10%.

4. La super-marjuana: sostanza “leggera” o droga “pesante”?

Negli Anni Novanta del Novecento, il Legislatore, alla luce del fenomeno della supermarjuana, inserì il delta-9-tetra-idro-cannabinolo nella tabella I, riservata alle sostanze “pesanti” come la cocaina, l’eroina e l’MDMA. In effetti, è pur vero che l’olio di haschisch contiene THC al 40-50 %. Anzi, nella medicina forense, molti, a ragion veduta, fanno notare che anche il THC, nel lungo periodo, crea una vera e propria tossico-dipendenza. Inoltre, molti Precedenti della Suprema Corte parlano, con attinenza alla canapa, di “fortissimo aumento del principio attivo”. Tale scenario è stato, tuttavia, modificato dal DL 36/2014, convertito nella L. 79/2014, la quale incasella tra le “droghe leggere” il THC “di origine naturale”, mentre, ex tabella I, è reputato “droga pesante” il THC “di origine sintetica”. A parere di molti, sia in Dottrina sia in Giurisprudenza, le tabelle ex L. 79/2014, per quanto riguarda la cannabis, sottovalutano l’acuta, pesante e seria tossicità della nuova supermarjuana, il cui tenore drogante la rende estremamente offensiva nei confronti dell’ordine pubblico nonché della salute collettiva costituzionalmente protetta. Si tenga pure conto che taluni assuntori degli Anni Duemila recano la moda di fumare eroina mista a supermarjuana, con gravi conseguenze psicofisiche. Ormai, la canapa sativa L genera disturbi mentali alla pari dell’oppio o delle foglie di coca. P.e., sempre negli Anni Duemila, molti giovani tossicofili fumano la “amnésia”, che è una supermarjuana talmente concentrata da cagionare i medesimi effetti dell’eroina iniettata per via endovenosa. L’amnésia, in buona sostanza, è marjuana spruzzata con metadone, oppio ed altre sostanze chimiche eccitanti. Essa toglie memoria e lucidità alle ragazze oggetto di stupro. Crea pure mancanza di concentrazione, attacchi d’ansia e paranoie.

Sempre in tema di supermarjuana del tipo amnésia, erroneamente e pericolosamente Cass., sez. pen. IV, 29 settembre 2021, n. 37104 afferma che tale stupefacente “è inquadrabile tra le droghe leggere […] quando la quantità è inferiore a 2 Kg di principio attivo, pari a 4000 volte il valore-soglia di 500 mg.”. Anche Cass., sez. pen. VI, 19 novembre 2020, n. 1886 reputa, sciaguratamente, che “l’amnésia è una droga leggera, sebbene l’effetto sia incrementato da un particolare trattamento aggiuntivo” Analogo è il parere di Cass., sez. pen. III, 14 luglio 2021, n. 36734, Cass., sez. pen. III, 9994 del 2022, Cass., sez. pen. III, 16 dicembre 2021, n. 33694 nonché di Cass., sez. pen. IV, 29 settembre 2021, n. 37104. La fattispecie dell’amnésia dimostra quanto sia fuorviante la categoria delle cc.dd. “droghe leggere”. Nessuna sostanza d’abuso può definirsi “leggera”. Viceversa, fanno eccezione, con riguardo alla predetta sostanza, Corte d’Appello di Napoli, 04/11/2019, nella Giurisprudenza di merito, e Cass., sez. pen. VI, 19 novembre 2020, n. 1886, nella Giurisprudenza di legittimità. In tali due Precedenti del 2019 e del 2020 è qualificato “grave” lo spaccio di quantità anche minime di amnésia (solo 650 grammi circa di principio attivo). Anche a parere di chi redige, oggi la supermarjuana è una sostanza “pesante” sotto il profilo tossicologico ancorché non strettamente giuridico.

5. I derivati naturali e sintetici della canapa.

I derivati naturali della canapa contengono THC, ma tali prodotti richiedono complessi procedimenti di trasformazione. Esistono pure cannabinoderivati sintetici, utilizzati per la preparazione di farmaci, legalizzati soprattutto negli USA, in Germania, in Olanda e nel Regno Unito. Tuttavia, si tratta di medicamenti muniti di eccessivi effetti collaterali, in tanto in quanto essi contengono un tenore troppo elevato di THC, non “mitigato” da un quantitativo sufficiente di CBD. Si consideri pure che esiste, soprattutto via Internet, un fiorente mercato nero di cannabinoidi non registrati ed illegalmente impiegati per fini di automedicazione. A ciò si aggiunga pure che il delta-9-idro-cannabinolo è utilizzato nella preparazione di “smart drugs”, che sono talvolta sintetiche, talaltra di origine erboristica, ma non per questo meno pericolose. Il mercato dei cannabinoidi illegali è assai variegato, al punto che la maggior parte di questi stupefacenti non è ancora stata catalogata nelle tabelle allegate al TU 309/90. P.e., Cass., sez. pen. III, n. 36051/2012 ha individuato e sanzionato prodotto a base di THC utilizzati come integratori ed anabolizzanti nelle palestre. Oppure ancora, Cass., sez. pen. IV, n. 15237/2018 ha analizzato il pericolo sottile della marjuana venduta sotto forma di “sacchetto odoroso” per la profumazione degli armadi. Quella dei sacchetti odorosi è una tecnica surrettizia di spaccio molto diffusa anche in Svizzera, allo scopo di aggirare gli artt. 19 e sgg. della BetmG con parvenze di legalità. A parere di chi scrive, in epoca attuale si esaltano le proprietà curative della cannabis, ma il fine ultimo, sebbene non espressamente dichiarato, è e rimane quello della liberalizzazione indiscriminata della marjuana e dell’haschisch. Da una ventina d’anni a questa parte, gli antiproibizionisti presentano la canapa come se fosse indispensabile al pari dell’acqua potabile. Ciononostante, nella realtà concreta, si vuole giungere ad una legalizzazione totale, sul modello olandese e canadese. Oltretutto, mancano seri Studi di lungo periodo sul tema dei presunti effetti benefici dei cannabinoderivati, vegetali o sintetici che essi siano.

In effetti, sotto il profilo storico-giuridico, la L. 685/1975, nella tabella I, equiparava “i tetracannabinoli ed i loro analoghi” agli oppiacei, alla cocaina ed alle metamfetamine. Del pari, la tabella II proibiva la libera diffusione della “cannabis indica dei prodotti da essa ottenuti, delle sostanze ottenibili per sintesi o semi-sintesi, che siano [ad essi] riconducibili per struttura chimica o per effetto farmacologico”. Quello della L. 685/1975 era un sano proibizionismo conforme alla ratio della tutela della “salute collettiva” ex comma 1 art. 32 Cost. Pure il DM 186/1990 manifestava, giustamente e lodevolmente, un tendenziale sfavore normativo nei confronti dei cannabinoidi. Critica verso la legalizzazione del THC è anche Cass., sez. pen. VI, 12 aprile 2011, n. 18096, ovverosia “le varie leggi susseguitesi in quasi cinquant’anni hanno diversamente descritto e disciplinato il fenomeno dei derivati della cannabis, creando non poche incertezze interpretative ed applicative nell’identificare quali tipi e quali quantità dei derivati della cannabis fossero oggetto di previsione penale”. A ciò si aggiunga una Giurisprudenza controversa, in tanto in quanto perennemente chiamata a risolvere le antinomie e le lacune del Legislatore.

Discutibile, ancorché meno nebulosa, è la L. 79/2014, la quale considera “droghe pesanti” (ex tabella I) i cannabinoidi ottenuti “per sintesi”, mentre sono “droghe leggere” (ex tabella II) i cannabinoderivati “esclusivamente vegetali”, ossia le foglie e le infiorescenze della cannabis, l’olio e la resina di canapa “nonché le preparazioni contenenti [cannabinoidi vegetali], in conformità alle modalità di cui alla tabella dei medicinali”. In realtà, la L. 79/2014 tiene pertinentemente conto della tendenziale, maggiore pericolosità tossicologica delle droghe “sintetiche”, di solito molto più psicoattive rispetto alle sostanze meramente “vegetali”.

Secondo la maggior parte degli interpreti, la normativa attuale, nelle tabelle allegate al TU 309/90, doveva menzionare il THC ed il CBD, dunque i principi attivi e non i prodotti grezzi della canapa (foglie, infiorescenze, olio e resina). Meglio sarebbe stato, inoltre, predeterminare una QMD già nel TU 309/90, al fine di evitare le consuete ed improprie ipertrofie giurisprudenziali. D’altra parte, anche sotto il profilo lessicale, il TU 309/90 risulta improprio, poiché chiama la marjuana “cannabis in foglia” e l’haschisch “cannabis in resina”. Anzi, il panorama de jure condito è talmente confuso che ormai è la Giurisprudenza e non il Legislatore a determinare, nella pratica, concetti come la “ingente quantità”, l’“uso personale” ex art. 75 TU 309/90 o la “lieve entità” ex comma 5 art. 73 TU 309/90. Anzi, il TU 309/90 non è idoneo alla gestione penale dei cannabinoidi sintetici, come il K2, lo Spice o l’ AK47. Si tratta di miscele essiccate ove la marjuana viene intrisa di pericolose sostanze psicoattive sintetizzate in laboratorio. Le tabelle del TU 309/90 non sono bastevoli per la corretta criminalizzazione della supermarjuana. P.e., negli USA, la nuova moda tossicomanica è la “marjuana sintetica”, che reca potenti effetti allucinogeni, costa poco e non è rintracciabile nelle urine.

I cannabinoidi sintetici, in Italia, vengono fumati da un 10% di utenti ex consumatori di canapa “ordinaria”. Purtroppo, la marjuana sintetica, per ora, non è penalmente perseguibile dall’ordinamento italiano, perché, come evidenziato da Cass., sez. pen. III, 13 gennaio 2011, n. 7974, “si può ritenere stupefacente solo una sostanza inclusa nelle tabelle ministeriali, mentre non può ritenersi tale qualsiasi altra sostanza non inclusa nelle tabelle, indipendentemente dalla sua composizione chimica e dagli effetti farmacologici sulla salute umana”. Analoga è la posizione di Cass., SS.UU., 24 giugno 1990, Kremi. All’opposto, Cass., sez. pen. III, n. 11853/2013 reputa applicabili le tabelle, per analogia, “anche ai cannabinoidi di sintesi analoghi, per struttura, a sostanze tabellate”.

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