IL LEGITTIMO LICENZIAMENTO DEL “WHISTLEBLOWER” COMMENTO CASS. CIV., SEZ. LAVORO, SENT. 24.01.2017 N. 1752

Di Alessandro Parrotta -

Sommario: 1. Introduzione – 2. Sulla fondatezza della segnalazione – 3. La legittimità del licenziamento – 4. Conclusioni

 

  1. Introduzione

La sentenza in commento si pone all’interno della disciplina del whistleblowing, oggetto, negli ultimi mesi, di numerose modifiche legislative, di pareri e di linee guida di diversi organi ed enti, che verranno di seguito brevemente esposti ed analizzati.

Innanzitutto, è bene ricordare che la Legge 179/17 (“Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”), entrata in vigore il 29 dicembre 2017, ha per la prima volta introdotto in maniera organica una disciplina sul whistleblowing ed ha inserito regole restrittive sull’identità del segnalante, che non può mai essere rivelata.

In particolare l’art. 1 di detto provvedimento, che sostituisce integralmente l’art. 54bis del D. lgs. 165/01, introduce importanti novità in tema di protezione del segnalante. Viene in primo luogo eliminato il riferimento al superiore gerarchico e viene, a fortiori, introdotta una disciplina che induce il segnalatore a rivolgersi ad autorità esterne ed imparziali.

Inoltre, è predisposto un sistema sanzionatorio ai danni di chi ha perpetrato misure discriminatorie verso il whistleblower.

Proseguendo, la succitata legge ha disciplinato le segnalazioni nel settore privato, introducendo importanti regole per quanto riguarda le società sottoposte alla disciplina del D. lgs. 231/2001. L’art. 2, in questo senso, si occupa di introdurre regole in ordine al settore privato, aggiungendo i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater all’art. 6 del D. lgs. 232/01.

Prima di tale intervento normativo l’istituto del whistleblowing era regolato all’interno della normativa anticorruzione (L. 190/2012) ed antiriciclaggio (decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90), che avevano il fine di limitare, prevenire e far venire la commissione di illeciti all’interno delle aziende.

A seguito della innovativa Legge di novembre u.s., come anticipato, si sono susseguiti una serie di interventi delle Istituzioni e di vari organi per predisporre una normativa interna in linea con la nuova normativa.

In particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha emanato il 6/12/17 un decreto ministeriale; l’art. 2 di tale provvedimento, elencando i compiti del segretario generale, parla, prima, di supporto al Responsabile per le attività di promozione delle misure volte alla prevenzione della corruzione ed in seguito sancisce che tal soggetto si occupi anche della trattazione delle segnalazioni di illecito da parte di un dipendente.

Anche la Banca d’Italia è intervenuta in materia con un provvedimento del 22/12/17, in cui all’art. 39 comma 2 dispone che la relazione sulla struttura organizzativa riferisca, tra le altre questioni, anche sulle misure organizzative adottate in materia di whistleblowing (lettera m).

Inoltre, è opportuno porre l’attenzione su un comunicato del Presidente dell’ANAC del 6/02/18 denominato “Segnalazioni di illeciti presentate dal dipendente pubblico”. In questo provvedimento l’Autorità informa che metterà a disposizione un applicativo online per la segnalazione degli illeciti. Il canale di comunicazione sarà cifrato ed il nominativo segreto. Per tutelare pienamente l’anonimato l’ANAC ha previsto, inoltre, la possibilità di segnalare tramite TOR, una rete che rende impossibile per il destinatario e gli intermediari della trasmissione avere traccia dell’indirizzo internet del mittente.

In ultimo, sono intervenuti anche la Confindustria, la CONSOB e l’INPS, i quali hanno emesso dei provvedimenti per chiarire vari punti della Legge 179/17 e per adottare all’interno dell’organizzazione aziendale sistemi e procedimenti per il dipendente che compie la segnalazione, al fine di garantirgli l’anonimato ed evitare l’indebita attuazione di misure ritorsive.

Tutti questi provvedimenti hanno in comune l’esigenza di rendere piena ed efficace la tutela del whistleblower. In altre parole, il movimento dottrinale, creatosi successivamente all’introduzione nel nostro ordinamento della Legge 179/17, si è concentrato esclusivamente sulla protezione del segnalatore e sulla tutela dello stesso da misure ed azioni ritorsive, trascurando completamente l’altro aspetto delle segnalazioni all’interno dell’azienda: la fondatezza e la legittimità delle stesse.

  1. Sulla fondatezza della segnalazione

Fatte queste opportune premesse, occorre in questa sede dedicare uno spazio relativo alla fondatezza quale requisito essenziale della segnalazione, aspetto trascurato dalla dottrina e dalla recente legislazione che sembrano in qualche modo dar per scontato tale elemento, che invece costituisce una parte integrante della segnalazione.

In questo senso, sembra rilevante a parere di chi scrive, effettuare un confronto con il diritto penale; ed allora, così come nelle indagini preliminari l’Autorità Giudiziaria, nella veste del Pubblico Ministero, procede alla verifica della fondatezza o meno della notizia criminis che gli è pervenuta, anche nella procedura interna aziendale prima e nel processo innanzi al Giudice del Lavoro che si instaurerà successivamente, occorrerà in prim’ordine effettuare una giusta valutazione sulla fondatezza della segnalazione.

Proseguendo nell’analogia con il diritto penale, nel caso in cui il Pubblico Ministero, durante l’attività di indagine, non ravvisasse elementi che comprovassero la fondatezza della notizia criminis egli chiederà al Giudice per le Indagini Preliminari l’archiviazione del procedimento penale; e così anche nella procedura di esame della segnalazione l’organo preposto, una volta accertata la infondatezza dell’asserito illecito, dovrà archiviare il procedimento di whistleblowing, riservandosi come vedremo di esercitare delle azioni ai danni del segnalatore cd in mala fede.

A questo punto è bene ricordare che, nell’ambito del diritto processuale penale, nel caso in cui il procedimento sia sorto da una denuncia – querela la quale dichiarava la commissione di fatti illeciti, in realtà non commessi, l’ordinamento predispone una serie di tutele nei confronti dei soggetti ingiustamente accusati, quali, ad esempio, la controquerela per calunnia ex art. 368 c.p. e per diffamazione.

È opportuno, allora, giungendo alla conclusione del parallelismo configurato tra la materia del whistleblowing ed il diritto penale, equiparare, da un lato una denuncia fatta all’Autorità Giudiziaria per reati non commessi e, dall’altro alto, una segnalazione per illeciti aziendali verificatasi poi infondata: in entrambi i casi sarà diritto del soggetto denunciato o segnalato ingiustamente proporre egli stesso un’azione giudiziaria verso chi lo ha accusato.

Per quanto riguarda, inoltre, la segnalazione oggetto del procedimento di whistleblowing che venga accertata infondata, si apre per il segnalante in mala fede anche la via del licenziamento legittimo.

La sentenza in commento si concentra proprio su questo ulteriore aspetto.

Occorre rilevare che lo stesso ragionamento della infondatezza della segnalazione è applicabile, a maggior ragione, per tutte quelle segnalazioni non solo infondate ma anche perpetrate dolosamente allo scopo di colpire e danneggiare l’azienda.

  1. La legittimità del licenziamento

Dunque, analizzata la normativa alla base dell’istituto del whistleblowing e gli aspetti sull’infondatezza della segnalazione, è opportuno analizzare la sentenza in esame che, come anticipato si occupa proprio di una delle conseguenze concrete della infondatezza della segnalazione: il licenziamento legittimo.

In particolare, tale provvedimento riveste una non trascurabile importanza poiché afferma, assumendo una posizione in controtendenza con il pensiero dominante attuale (come dimostrato dai numerosi interventi sopra esposti), che vi possono essere casi in cui l’allontanamento di un soggetto che invia una segnalazione – infondata – possa essere ritenuto legittimo e dunque non possa essere applicato allo stesso la normativa garantista del whistleblowing.

Da questo punto di vista è importante ribadire che, mentre tutte le recenti riforme legislative hanno avuto come obiettivo l’ampliamento graduale della tutela del segnalatore, garantendogli una serie di misure volte a difenderlo da azioni di ritorsione sullo stesso, tale provvedimento analizza l’istituto del whistleblowing nell’eventualità in cui la segnalazione sia infondata e dunque illegittima.

Nel caso in questione, il lavoratore (un dipendente pubblico, con qualifica di responsabile dei lavori) aveva inviato una memoria ad una serie di soggetti, tra cui la Procura della Repubblica, i sindacati, la Prefettura e la Corte dei Conti, in cui venivano indicati tutta una serie di presunti illeciti commessi dall’ente pubblico presso cui lavorava.

Tuttavia, nel corso del giudizio instauratosi successivamente all’allontanamento del whistleblower, si è accertato che la memoria conteneva la denunzia di condotte illecite da parte dell’amministrazione di appartenenza palesemente priva di fondamento.

La condotta del lavoratore era, dunque, univocamente diretta a gettare discredito sull’amministrazione medesima e come tale è stata sanzionata disciplinarmente con il licenziamento.

I Giudici di Legittimità hanno confermato che l’azione disciplinare in questo caso è legittima.

Dunque, la tutela del lavoratore che segnala comportamenti illeciti all’interno dell’azienda è prevista solo laddove la segnalazione non sia palesemente priva di fondamento.

La sentenza in commento riveste, come detto, una fondamentale importanza proprio in questo senso: se non fosse stata affermata la legittimità del licenziamento in un caso di questo tipo si sarebbe potuto aprire la via ad un’indebita posizione di debolezza dell’azienda nei confronti di tutti i dipendenti che avessero voluto usare strumentalmente la disciplina del whistleblower.

  1. Conclusioni

Dall’esame della disciplina organica in materia di whistleblowing con i relativi provvedimenti emanati in attuazione della stessa, combinato con la sentenza in commento ed i principi generali dell’ordinamento, possiamo formulare alcune considerazioni conclusive.

Stante la piena tutela da azioni ritorsive (quali il licenziamento e le sanzioni disciplinari) che deve essere garantita al soggetto dipendente che compie una segnalazione all’interno di un azienda e stante il dovere giuridico della stessa azienda di predisporre un procedimento che tuteli il succitato dipendente, occorre, tuttavia, anche effettuare un giudizio sulla fondatezza e sulla legittimità delle accuse svolte, affinché la nuova normativa non diventi uno strumento da usare strumentalmente dal dipendente contro l’azienda, che si troverebbe in una posizione di completa impotenza.

In questo senso occorre ribadire una volta di più che una segnalazione infondata ed effettuata solo per gettare discredito sull’azienda in generale o su organi particolari di essa, proprio come una denuncia infondata all’Autorità Giudiziaria, comporta la responsabilità penale, disciplinare e civile del whistleblower ai sensi del codice penale e dell’art. 2043 del codice civile.

Saranno a fortiori fonte di responsabilità, in sede disciplinare, civile e penale, anche eventuali forme di abuso della procedura del whistleblowing, non solo infondate ma addirittura manifestamente opportunistiche e/o effettuate al solo scopo di danneggiare il denunciato o altri soggetti, e ogni altra ipotesi di utilizzo improprio o di intenzionale strumentalizzazione dell’istituto del whistleblowing.

Dunque, concludendo: da un lato si ravvisa la normativa che pone regole stringenti dal punto di vista della garanzia dovuta al whistleblower in caso di segnalazione fondata, dall’altro, al contrario, necessariamente deve configurarsi una responsabilità di colui che compie una segnalazione infondata o in mala fede, il quale andrà incontro al legittimo licenziamento e ad azioni di responsabilità civili e penali.

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